lunedì 22 aprile 2013

La politica ai tempi di twitter e dei talk show



Servizio pubblico, su La7.
Anche oggi sembrerà che parli di politica, ma in realtà questo è un intervento sui media. Ma anche sulla politica. Difficile distinguere, eh? Appunto.
Facciamo un passo indietro, a poche ore prima del big bang. C’è una foto che esprime meglio di ogni altra un problema. E’ la foto (o il video, se preferite) dell’incontro, nell’aula di Montecitorio, tra Bersani e Alfano. Si incontrano, si sorridono, manata sulla spalla. “Ecco l’inciucio” ecc. Com’è possibile che uno come Bersani non c’abbia pensato?
Bersani e Alfano a Montecitorio.
In realtà cose di questo tipo avvenivano quotidianamente ai tempi del vecchio partito comunista (lo dico per chi ha meno di trent’anni). Non significava necessariamente “collusione col nemico”: era una consuetudine tra avversari politici che si consideravano comunque figli della Repubblica ecc. Il Pci, negli anni, riuscì a far digerire cose come l’elezione di Cossiga a Presidente, per capirci.  
Cosa c’era nella prima repubblica, qual è il tassello che manca ai dirigenti del centrosinistra che vengono dalla cultura politica del vecchio Pci? In quella cultura politica c’era (e in qualche misura c’è ancora) l’idea che tra “le masse” (leggi: gli elettori) e il Partito (leggi: quella curiosa joint-venture tra ceppi culturali e gruppi di pressione chiamata fino ad ora Pd) potesse ancora agire quella cosa che ai tempi di Antonio Gramsci (80 anni fa) veniva definita l’intellettuale collettivo. Traduzione in italiano: il Pci poteva fare le piroette politico-tattiche più spericolate per due motivi: il primo è che comunque “erano comunisti”, quindi nei militanti c’era l’idea che “se il partito ha fatto così, ci sarà sotto qualcosa di buono”. E questa la consideriamo risolta con la caduta del muro e dei fideismi politici. 
Il confronto a Sky News sulle Primarie del Pd:
quattro mesi che sembrano un'eternità.
Ma il secondo è ancora più importante: era l’idea che “il Partito” fosse un medium in grado di effettuare la “necessaria mediazione” tra le decisioni dei capi e i militanti. Enrico Berlinguer lanciava il “compromesso storico” (1973), che implicava un accordo con la Dc, le sezioni si riempivano di mugugni e proteste, e subito iniziava un defatigante –ma efficace- lavorìo per convincere, smussare, troncare, sopire, in qualche caso anche per spiegare una strategia o una tattica. Questo lavorìo si espandeva a una parte della stampa, al sindacato, ai circoli ricreativi ecc. Cose oggi impossibili. Per capirci: proposto oggi, ai tempi di twitter il “compromesso storico” come linea politica sarebbe saltato come un tappo di champagne in mezz’ora, ed Enrico Berlinguer sarebbe stato rottamato. Ma non c’è solo twitter. Durante l’ultima campagna elettorale a un certo punto il Pd, come la ragazza che si considerava la bella della festa, vede svuotarsi progressivamente il carnet. (Nell’immaginario da anni Sessanta dei leader storici del Partito Democratico si invitano ancora le ragazze a ballare).
Enrico Berlinguer.
Cosa mai era successo? Era successo che il Pd non era più centrale nell’agenda mediatica. Era successo che tutti i media, un trenino che parte dalla tv e soprattutto dai talk show, esaurita la “notiziabilità” delle Primarie, si erano rimessi a cavalcare il tema della casta, dei costi della politica, ecc., perché era (ed è tuttora) la chiave di lettura più facile, più generalista, più efficace a raccogliere ascolti e consenso nel pieno di questa spaventosa crisi economica. La locomotiva era la tv, i giornali venivano dietro, il “second screen” di twitter e facebook faceva e fa da coro greco, permettendosi in finale di partita anche dei robusti assolo. In quella fase cos’hanno fatto i dirigenti del Pd? Si sono lamentati per l’atteggiamento dei giornalisti (“invece di parlare del lavoro ecc. corrono dietro a Grillo”).
Beppe Grillo a Rona: "Arrendetevi!".
 Ma i media non corrono dietro a Grillo, corrono dietro alla issue più semplice, generalizzabile, personalizzabile. Vogliono un buono e un cattivo, la vittima e ‘o malamente. Lamentarsi di questo è come lamentarsi della pioggia.

Chi saprà fare i conti con questo mutato rapporto tra cittadini e politica si salverà, gli altri verranno travolti dall’ondata dei populismi. L’altro giorno sono entrato in palestra e c’erano quaranta persone davanti alla tv nell’atrio. Di solito avviene solo per la Formula 1 o per il MotoGP. Invece stavano seguendo Rai News. Avevano appena eletto Napolitano. Uno di loro, che sfoggiava un’invidiabile tuta Dainese, ha esclamato: “è un colpo di Stato”. In che senso? Beh, la frase era appena passata nel crawl del canale all news che stavano seguendo. L’aveva detta Grillo. E suonava molto bene. Alla salute del catoblepismo.

2 commenti:

  1. Complimenti! la migliore analisi finora letta. Incredibile, ahimè, l'arretratezza di tanta parte della classe politica del PD in proposito. Temo dipenda non tanto da ignoranza quanto da arroganza condita con un filo di snobismo. Speriamo bene...

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  2. Si salverà "Chi saprà fare i conti con questo mutato rapporto tra cittadini e politica". Sicuramente vero ma a condizione che la situazione economica si risani o almeno non peggiori. Se prosegue come pare l problema, ahimè, sarà che il tipo con la tuta Dainese la tuta, tra un po', non potrà permettersela e allora comincerà a incazzarsi anche con Grillo e con i futuri guru che sapranno usare benissimo i media ma non salvare il paese.

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