domenica 11 agosto 2013

La scuola pubblica e le tv baby-sitter


La serie Peppa Pig, di Neville Astley e Mark Baker (2004).

Ho iscritto mio figlio alla scuola pubblica. Ma prima mi sono chiesto: a che serve la scuola elementare, nel 2013? Mattia, che non ha ancora compiuto sei anni e andrà in prima a settembre, se la cava già a leggere e scrivere, si esprime con discreta proprietà e spesso imbrocca la consecutio. Non è un fenomeno da baraccone: molti altri bambini e bambine della sua età si trovano nella sua stessa condizione. Non credo sia merito di noi genitori. Tra l'altro, essendo un padre non proprio giovanissimo ricordo che noi, a quell'età, eravamo molto più indietro.
Spongebob, di Stephen Hillenburg (1999).
Di chi è il merito, allora? Della scuola? Della televisione? Di internet?
Il più grosso successo d'ascolto di questi ultimi anni, assieme a Real Time, sono i canali cosiddetti "babysitter", che propongono a un pubblico pre-scolare, anche a orari un tempo impensabili, serie animate di discreta, e talvolta notevole, fattura. Una buona parte di esse sono vere e proprie sitcom d'animazione, in cui le contraddizioni familiari vengono sviluppate senza troppe censure, per aderire alla situazione reale di molti dei loro piccoli fruitori. I testi sono abbastanza sofisticati, un registro grottesco pieno di doppie letture, e spesso sono dotati di robusta ironia. Ci sono anche i prodotti più trash (come Total Drama, tradotto in italiano col titolo di "A tutto reality"), ma nel complesso la realtà è molto più interessante rispetto a quella di venti-trent'anni fa.
Lo straordinario mondo di Gumball, di Ben Bocquelet
per Cartoon Network (2011).
Credo che l'ascolto vada comunque regolato (e penso sia utile che nei pressi della tv ci sia la presenza di uno dei genitori, in modo da dialettizzare e metabolizzare quello che il bambino vede e sente). Ma comunque, se i genitori riescono a capire quali sono i contenuti disponibili, possono aiutare il bambino a costruire, tra programmazione tv e supporti digitali, un palinsesto utile non solo a intrattenerlo ma anche a sviluppare il linguaggio e la conoscenza.
Poi c'è internet. In cui il bambino deve entrare. Per gradi, non da solo e con i filtri dei browser alzati a manetta (come padre ho potuto constatare che su alcuni contenuti, come i video di youtube, gli algoritmi di "parental control" non sono ancora efficaci: meglio filtrare assieme la ricerca). Ma ci deve entrare.
E poi ci sono i videogiochi. Anche lì credo sia giusto contingentare. ma non c'è dubbio che oggi un bambino di 5 anni si trova di fronte a problemi di logica, di percezione e di decodifica impensabili per chi è cresciuto nella seconda metà del ventesimo secolo. Oggi un gioco originale di Super Mario allena a livelli di complessità e a sfide di intelligenza notevoli.
La scuola Pistelli di Roma nel progetto originale di Ghino Venturi.
Allora, che ruolo rimane alla scuola? Per mio figlio, dicevo, ho scelto la scuola pubblica. Immagino che valgano le valutazioni fatte caso per caso, ma il mio aveva già avuto un'esperienza molto positiva nella scuola materna dello stesso istituto, la Pistelli di Roma. E poi l'idea di un bambino che si sente, fin da piccolo, parte di una enclave di ricchi privilegiati non mi è mai piaciuta e non credo sia molto formativa. Nella scuola pubblica che ho conosciuto ho visto dare a Mattia, già dall'asilo, una sintesi e un ordine alle nozioni e ai segni appresi fuori dalle mura, e soprattutto ho visto sviluppare quegli elementi che nessun supporto elettronico e digitale può dare: la socialità, la manualità, la collaborazione collettiva ad un progetto. Dalla cucina alla mostra di pittura. E la pratica delle lingue straniere. Se tutto questo può darlo la scuola pubblica, non è meglio per tutti? Ho visto all'opera maestre che in un Paese civile dovrebbero essere pagate almeno il doppio ma che vivono il loro lavoro con passione. Bisognerebbe ricordarlo più spesso.
La complessa struttura logica di Super Mario 3d Land.

Ermenegildo Pistelli, a cui è dedicata quella scuola, era uno strano tipo, un egittologo diventato prete e poi anche seguace del fascismo, di cui apprezzava l'aspetto, diciamo così, movimentista e anti-istituzionale. Non è che possiamo perdonarlo per questo, ma sull'educazione dei ragazzi doveva avere qualche esperienza. In un suo libro del 1927, Eroi, uomini e ragazzi, racconta di avere incontrato in gioventù, in una libreria fiorentina, Carlo Collodi. Con discreta sfrontatezza il giovane Pistelli chiese all'autore di Pinocchio ragione delle ultime due righe del libro, così insopportabilmente moralistiche (il burattino diventava "un ragazzino perbene"). E Collodi gli avrebbe risposto "sarà, ma io non mi ricordavo mica di averlo finito così". Pistelli sospettò che fosse stato l'editore ad aggiungere il pistolotto finale. E lo scrisse. Nel 1927. Hai capito 'sto Pistelli.

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