A fine settimana, ecco il report: per quanto riguarda la vicenda de La7, la cordata italiana di Clessidra (Sposito con il super-partner/advisor Marco Bassetti) rimane la favorita. Complicato, anche se non impossibile, immaginare una partnership tra questa cordata e il gruppo Discovery (che dovrebbe rifornire di format e library la 7 deprivando però, in questo modo, il suo RealTime, unico vero successo editoriale di questi ultimi anni dopo Rai4). Staremo a vedere. Comunque per ora valgono le cose scritte in precedenza, mi pare.
X Factor 6: non c’è niente da fare, la libertà creativa e il linguaggio più moderno che sono consentiti a chi adatta i format per il pubblico (linguisticamente più scafato, diciamo così) di Sky si riverberano nella qualità del prodotto. E la cosa comincia a dare dei frutti.
Abbiamo avuto ragione (per una volta vorrei dirlo) a sostenere, nonostante i suoi limiti di conduzione, un esperimento innovativo come Pechino Express su Rai2. Come sempre, quando una rete deve ricostruire il proprio pubblico di riferimento, l’operazione non è né breve né facile. Occorre molta pazienza: ma gli ascolti cominciano a muoversi, e quello che è più importante, il target si sta ringiovanendo.
Finito il mattinale, parliamo del dato più interessante della settimana appena conclusa: il crollo di Don Camillo.
Fernandel e Gino Cervi nella serie cinematografica di Don Camillo. |
Una quindicina di anni fa ho realizzato un documentario in varie puntate su Don Camillo, con la collaborazione dei figli di Guareschi, che è andato in onda su Canale 5 quando Costanzo ne era direttore. Ed ho imparato un po’ di cose. La prima: il Don Camillo dei film non è esattamente il Don Camillo dei racconti di Guareschi. Rizzoli e i suoi effettuarono quella che oggi chiameremmo un moral suasion sullo stesso Guareschi, ma soprattutto ingaggiarono sceneggiatori come Oreste Biancoli, che poi scrisse assieme a Zavattini Ladri di biciclette; e per i film successivi, scrittori come Benvenuti e De Bernardi, che dello spleen destrorso di Guareschi avevano poco e nulla (De Bernardi si mise a scrivere Il compagno Don Camillo subito dopo aver terminato Matrimonio all’italiana). In sostanza: Rizzoli non voleva troppo anticomunismo perché guardava al mercato cinematografico italiano e non voleva tagliarsi un’importante fetta di pubblico. Tant’è che la rissa al bar tra Don Camillo e i militanti comunisti c’è solo nella versione francese, in quella italiana fu tagliata.
Don Camillo cinematografico finì così per costituire il nerbo pop di quell’ideologia un po’ relativistica che fu propria della Prima Repubblica (è comunista ma è una brava persona, è un democristiano ma ci si può ragionare). Nella Seconda Repubblica Don Camillo fu ampiamente sfruttato da Retequattro soprattutto in fase pre-elettorale, dando alla serie rizzoliana una lettura diversa (ricordatevi che i comunisti esistono).
Don Camillo: per la prima volta è sceso al 4%. |
Ma comunque anche nella Seconda Repubblica l’effetto rassicurante/catartico e arci-italiano della serie di Don Camillo, con conseguente successo d'ascolto, è stato innegabile, sopratuttto sul pubblico anziano. Tant’è che- assieme a pochi altri film, come la serie di Piedone e Marcellino pane e vino) i programmatori dei palinsesti li hanno sempre considerati dei sempreverdi, una gallina dalle uova d’oro a basso prezzo. La scorsa settimana, per la prima volta (complice Garko, una specie di arma-fine-di-mondo sulle italiane agée) Don Camillo è sceso sotto il 5% (4.72%, picco sugli over-65 e sui laureati). Sarà stato anche perché i programmatori di Retequattro lo hanno replicato fin troppo, ma comunque è successo. Per la prima volta Don Camillo sembra non parlare più di noi. Sembra racccontare un’Italia che non solo non c’è più, ma che non è nemmeno in grado di suscitare emozioni (a favore o contro). Il tema non è più comunisti-anticomunisti, berlusconiani-antiberlusconiani. Tutto sembra far parte di un mondo antico da cancellare (non userò, nemmeno sotto tortura, “rottamare”). Succede nei talk show. E succede anche nella narrativa. Ed è a cose come queste che i dirigenti dei partiti dovrebbero guardare, più che ai sondaggi pre-elettorali (che premiano sempre il committente, chiunque esso sia).