giovedì 29 agosto 2013

Jean-Paul Gaultier e Jovanotti: tecnologi visionari

Antoine de Caunes e Jean-Paul Gaultier in Eurotrash (1993).
La prima volta è stata vent'anni fa. Mi arrivò la cassetta (a quei tempi Youtube esisteva forse solo nella fantasia di Philip Dick) di un programma chiamato Eurotrash, co-condotto da Antoine de Caunes e da Jean-Paul Gaultier. Quel programma era pazzesco. E un sacco di pseudo-studiosi del trash "in un solo Paese" dovrebbero studiarsi quello show (era prodotto da una società coraggiosa, la Rapido) per capire la temperie di quel periodo. (In una puntata di Eurotrash erano tutti nudi, dall'inizio alla fine, pubblico compreso. Naturalmente in Italia non la vide mai nessuno).
Le immagini di Eurotrash le ho ritrovate vent'anni dopo, nella mostra organizzata per Gaultier all'Arkitektur Museet di Stoccolma. Anche qui Gaultier è riuscito a produrre un impatto visivo rispetto al quale le prodezze, fiscali e non, degli stilisti nostrani impallidiscono.

Lorenzo Cherubini: il suo Backup Tour
è stato una grande esperienza visiva
Come in un presepio digitale i manichini di Gaultier e delle sue mannequin  parlano, cantano, commentano, chiosano, cicalecciano tra loro in modo assolutamente realistico, grazie a una serie di videoproiettori nascosti e puntati sui volti, che proiettano riprese delle vere facce dei personaggi, preventivamente adattate in ambiente 3d. Per cui, anche girando attorno al personaggio, l'illusione rimane.
I Ragazzi della prateria al lavoro
per Jovanotti
In questi anni solo i migliori artisti contemporanei sono riusciti ad utilizzare in modo creativo le nuove possibilità delle tecnologie digitali. E' quello che avviene, ad esempio, quando Lorenzo Jovanotti e il suo team, nei suoi spettacoli, trovano nuovi modi per utilizzare dal vivo le potenzialità della tecnologia Kinect (sull'uso creativo della tecnologia, chiodo fisso di Lorenzo Jovanotti, torneremo). I Ragazzi Della Prateria (Marco Mucig e Carlo Zoratti) hanno fatto in questi anni un lavoro straordinario, che è riuscito a fondere ricerca tecnologica e creazione concettuale.

Sarà paradossale, ma sono proprio le televisioni, che dovrebbero essere le prime ad impossessarsi delle nuove tecnologie, ad essere più indietro nello sfruttare queste opportunità. Forse alle tv manca proprio la lucida follia dei moderni visionari.

lunedì 19 agosto 2013

Autunno tv: la star è la politica



Diego Bianchi (Zoro) diventa trisettimanale dall'autunno con il suo Gazebo su Raitre.
Ripropongo qui il pezzo pubblicato sull'ultimo Venerdì di Repubblica.

 Chi deciderà i risultati d'ascolto più significativi dell'autunno televisivo alle porte? La politica. Eravamo stati abituati a considerare la politica come l'invadente intruso che determinava carriere e nomine o stabiliva passaggi legislativi in grado di aiutare o danneggiare uno dei contendenti sul mercato tv. Adesso invece, nella televisione della crisi, la politica è anche il genere decisivo che può determinare gli equilibri Auditel tra un canale e l'altro. 
Luca Telese, dal prossimo autunno conduttore di Matrix su Canale 5.

Come si svilupperà l'intricato plot dei prossimi mesi, che avrebbe tutti i caratteri di un appassionante soap (con elementi di crime) se non fosse che i suoi esiti decideranno in buona parte i destini di questo Paese? Dall'interesse del pubblico televisivo per l'orizzonte politico italiano dipenderà, ad esempio, il successo del palinsesto de la 7 in versione Cairo, con un Mentana a presidiare gran parte delle zone di programmazione non coperte dalla sventagliata di Formigli (lunedì), Paragone (mercoledì), Santoro (giovedì) e Crozza (venerdì), con l'unica variante del martedì noir affidato a Sottile, e che dovrebbe attrarre il pubblico femminile sottraendo un po' di fedelissime di "Chi l'ha visto" allo zoccolo duro di Ballarò. Una mossa anti-Raitre che si colloca comunque nelle logica di un palinsesto totus politicus. E la cronaca nera è un genere che ben si sposa con un cartellone dedicato ai talk politici: entrambi sono prodotti giornalistici, entrambi puntano tutto sulle uniche categorie che vengono in tv gratis: politici e assassini.
Gianluigi Paragone si aggiungerà a Mentana, Santoro, Formigli,
Crozza nel palinsesto de la 7.
Anche Rai e Mediaset avranno tanta politica nei loro palinsesti, per le stesse ragioni. E la Rai oggi può contare anche se un canale news rivitalizzato e modernizzato nel linguaggio televisivo. Nel caso di Mediaset non sarà facile per i manager editoriali mediare tra le esigenze d'ascolto e di riposizionamento delle reti nel nuovo panorama politico (che avevano portato, ad esempio, al richiamo all'ovile di Luca Telese per la nuova edizione di Matrix) con l'opposta urgenza di dare voce alle imperative richieste dell'inquilino, più o meno coatto, di Arcore. Una quadratura del cerchio quasi impossibile. E che ha al centro proprio la gestione dei temi politici nei talk, nei magazine, negli approfondimenti.
Monica Maggioni: ha
modernizzato RaiNews

D'altronde, anche per Sky la sfida di un palinsesto al risparmio non è semplicissima: bisogna evitare nuove disdette negli abbonamenti (comprensibili quando in famiglia devi decidere tra le spese scolastiche per i figli e le partite in diretta). E bisogna anche fare i conti con la fine della golden age delle serie tv americane, che solo 5 anni fa avevano da noi un'attrattiva che oggi è in parte scemata. È vero che Sky ci ha abituato a soluzioni creative anche nel campo della politica: basta ricordare l'innovazione del famoso confronto a 5 per le primarie del Pd (anche se sembra di parlare di un evento televisivo di qualche eone fa, sono passati solo otto mesi). Staremo a vedere.

La cura da cavallo a base di politique politicienne (o di antipolitica un tanto al chilo) è tutto quello che la tv potrà fornirci nell'immediato futuro? Come dice Carlo Freccero è "lo spirito del tempo". Ma due mesi fa, in quell'incontro che si svolge ogni anno a Savona ed è dedicato ad una categoria in via di estinzione, gli autori televisivi, Fabio Fazio ha intervistato a lungo Renzo Arbore
Fazio e Arbore a Savona (Ideona 2013).
Arbore è stato acuto e divertente come sempre. Ma più di lui, a sorprendere è stata la rassegna dei suoi diversi programmi, presentati su un grande schermo a centinaia di persone. Vederli tutti assieme ci ha ricordato un tempo in cui la tv sapeva anche intrattenere, e magari in modo intelligente. C'era un mood generale che ci siamo scordati: ironia, ottimismo non ottuso, gente allegra che rideva. Anche di sé. 
Quei tempi torneranno quando finirà la crisi e le tv avranno di nuovo soldi da spendere. Nel frattempo, guardiamoci Agorà. E magari Pechino Express.






domenica 11 agosto 2013

La scuola pubblica e le tv baby-sitter


La serie Peppa Pig, di Neville Astley e Mark Baker (2004).

Ho iscritto mio figlio alla scuola pubblica. Ma prima mi sono chiesto: a che serve la scuola elementare, nel 2013? Mattia, che non ha ancora compiuto sei anni e andrà in prima a settembre, se la cava già a leggere e scrivere, si esprime con discreta proprietà e spesso imbrocca la consecutio. Non è un fenomeno da baraccone: molti altri bambini e bambine della sua età si trovano nella sua stessa condizione. Non credo sia merito di noi genitori. Tra l'altro, essendo un padre non proprio giovanissimo ricordo che noi, a quell'età, eravamo molto più indietro.
Spongebob, di Stephen Hillenburg (1999).
Di chi è il merito, allora? Della scuola? Della televisione? Di internet?
Il più grosso successo d'ascolto di questi ultimi anni, assieme a Real Time, sono i canali cosiddetti "babysitter", che propongono a un pubblico pre-scolare, anche a orari un tempo impensabili, serie animate di discreta, e talvolta notevole, fattura. Una buona parte di esse sono vere e proprie sitcom d'animazione, in cui le contraddizioni familiari vengono sviluppate senza troppe censure, per aderire alla situazione reale di molti dei loro piccoli fruitori. I testi sono abbastanza sofisticati, un registro grottesco pieno di doppie letture, e spesso sono dotati di robusta ironia. Ci sono anche i prodotti più trash (come Total Drama, tradotto in italiano col titolo di "A tutto reality"), ma nel complesso la realtà è molto più interessante rispetto a quella di venti-trent'anni fa.
Lo straordinario mondo di Gumball, di Ben Bocquelet
per Cartoon Network (2011).
Credo che l'ascolto vada comunque regolato (e penso sia utile che nei pressi della tv ci sia la presenza di uno dei genitori, in modo da dialettizzare e metabolizzare quello che il bambino vede e sente). Ma comunque, se i genitori riescono a capire quali sono i contenuti disponibili, possono aiutare il bambino a costruire, tra programmazione tv e supporti digitali, un palinsesto utile non solo a intrattenerlo ma anche a sviluppare il linguaggio e la conoscenza.
Poi c'è internet. In cui il bambino deve entrare. Per gradi, non da solo e con i filtri dei browser alzati a manetta (come padre ho potuto constatare che su alcuni contenuti, come i video di youtube, gli algoritmi di "parental control" non sono ancora efficaci: meglio filtrare assieme la ricerca). Ma ci deve entrare.
E poi ci sono i videogiochi. Anche lì credo sia giusto contingentare. ma non c'è dubbio che oggi un bambino di 5 anni si trova di fronte a problemi di logica, di percezione e di decodifica impensabili per chi è cresciuto nella seconda metà del ventesimo secolo. Oggi un gioco originale di Super Mario allena a livelli di complessità e a sfide di intelligenza notevoli.
La scuola Pistelli di Roma nel progetto originale di Ghino Venturi.
Allora, che ruolo rimane alla scuola? Per mio figlio, dicevo, ho scelto la scuola pubblica. Immagino che valgano le valutazioni fatte caso per caso, ma il mio aveva già avuto un'esperienza molto positiva nella scuola materna dello stesso istituto, la Pistelli di Roma. E poi l'idea di un bambino che si sente, fin da piccolo, parte di una enclave di ricchi privilegiati non mi è mai piaciuta e non credo sia molto formativa. Nella scuola pubblica che ho conosciuto ho visto dare a Mattia, già dall'asilo, una sintesi e un ordine alle nozioni e ai segni appresi fuori dalle mura, e soprattutto ho visto sviluppare quegli elementi che nessun supporto elettronico e digitale può dare: la socialità, la manualità, la collaborazione collettiva ad un progetto. Dalla cucina alla mostra di pittura. E la pratica delle lingue straniere. Se tutto questo può darlo la scuola pubblica, non è meglio per tutti? Ho visto all'opera maestre che in un Paese civile dovrebbero essere pagate almeno il doppio ma che vivono il loro lavoro con passione. Bisognerebbe ricordarlo più spesso.
La complessa struttura logica di Super Mario 3d Land.

Ermenegildo Pistelli, a cui è dedicata quella scuola, era uno strano tipo, un egittologo diventato prete e poi anche seguace del fascismo, di cui apprezzava l'aspetto, diciamo così, movimentista e anti-istituzionale. Non è che possiamo perdonarlo per questo, ma sull'educazione dei ragazzi doveva avere qualche esperienza. In un suo libro del 1927, Eroi, uomini e ragazzi, racconta di avere incontrato in gioventù, in una libreria fiorentina, Carlo Collodi. Con discreta sfrontatezza il giovane Pistelli chiese all'autore di Pinocchio ragione delle ultime due righe del libro, così insopportabilmente moralistiche (il burattino diventava "un ragazzino perbene"). E Collodi gli avrebbe risposto "sarà, ma io non mi ricordavo mica di averlo finito così". Pistelli sospettò che fosse stato l'editore ad aggiungere il pistolotto finale. E lo scrisse. Nel 1927. Hai capito 'sto Pistelli.

giovedì 1 agosto 2013

Topolino va a Modena, Milano più grigia

Federico Pedrocchi e Mario Gentilini a Milano, nel 1937 (fotomontaggio).
Le pubblicazioni Disney italiane passano alla Panini di Modena. E anche la redazione (con comprensibili sofferenze e mugugni). [UPDATE: Disney e Panini hanno finalmente accettato di mantenere la redazione a Milano, me l'ha confermato Tito Faraci.] 
Cominciamo col dire che è un bene che, dovendo scegliere, il Publishing Disney abbia scelto un'azienda vispa e attiva sul mercato come la Panini, che da tempo non significa solo figurine, ma è anche una interessante e prolifica casa editrice italiana. Con Topolino si sposta a Modena una delle poche realtà un poco americane e tanto italiane che esportano, a loro modo,
I Classici di Walt Disney:
da Milano in tutto il mondo.
in tutto il mondo. Perché da decenni gran parte del materiale Disney a fumetti distribuito in tutto il mondo viene dall'Italia. Con il nostro spirito, la nostra creatività e anche con la nostra cultura. Pochi "educatori" di professione, mentre spendevano ettolitri di inchiostro ad ammonirci contro l'invasione della cultura giapponese attraverso i manga e gli anime, si sono accorti che nel frattempo noi italiani esportavamo nel mondo Dante, i Promessi Sposi e molti tratti della nostra way of life attraverso un medium apparentemente americano come i fumetti disneyani pidginizzati a Milano. In bocca al lupo agli artisti disney e alla Panini per questa scommessa non facile, visti i tempi.
Storie di Romano Scarpa
pubblicate in tedesco.
Una cosa però va detta: quanto si è spenta la cultura di massa milanese in questo quarto di secolo? Milano era la città di Topolino, dei grandi rotocalchi, e anche la città del Linus di Oreste del Buono, dei Gialli Mondadori, di Urania. Non era la città del cinema ma era la città della pubblicità, che ha rinnovato lo stile del cinema italiano immettendo nel ciclo produttivo legioni di direttori della fotografia, di creativi, di registi che finalmente riscoprivano l'importanza dell'aspetto visivo e del montaggio dopo la sbornia trasandata degli orrendi 16mm degli anni settanta. Era la città dei jingle, e se volete anche quella di Claudio Cecchetto (che ha creato, tanto per dirne uno, Lorenzo Jovanotti). Per non parlare del mondo delle tv private, che nel bene e nel male costrinse tutti a rinnovarsi. A governare i Navigli oggi c'è un buon sindaco (e anche un assessore pazzoide, che conosciamo bene, ma vabbè).
Milano: la redazione di Linus, negli anni sessanta.
Ma questo non è un problema che può risolvere, da sola, un'amministrazione comunale. E'come se i milanesi fossero diventati un po' meno milanesi, avessero perso un po' della loro caparbietà e fiducia nel futuro. Per fortuna ci sono gli immigrati: forse le vere novità della cultura di massa sotto la Madonnina saranno scritte in cinese.
Aggiornamento: La decisione di Panini Comics di lasciare la redazione a Milano è una buona notizia per la continuità di un gruppo di lavoro importante per la creatività italiana. La questione generale dell'appannamento del ruolo di Milano come locomotiva della cultura di massa in Italia invece rimane.