mercoledì 27 febbraio 2013
Elezioni in tv, tra populismo e illuminismo
Solo due cose sulle elezioni.
1. Abbiamo scritto anche qui, da tempo, che i temi della protesta “antipolitica” e anticasta avevano grandissimo successo in tv. Programmi come Quinta colonna (e non solo Santoro & C.) hanno alimentato questo mood, che raccoglieva e moltiplicava una protesta che aveva le sue radici nell’impoverimento reale dei ceti medi, e non solo nelle minacce al lavoro dipendente. La cosa ha fruttato a B. (come previsto) ma soprattutto ha fatto volare Grillo (che già di per sé non scherzava).
2. La scorciatoia populista (le spiegazioni semplici a problemi difficili) è stata resa più praticabile, oltre che dagli scandali, dall’assenza di confronti veri e propri sulle alternative reali di fronte alla crisi. In assenza di questi chi la sparava più grossa vinceva. E il principio di realtà sfumava.
3. Il successo della “campagna delle Primarie”, che aveva fatto sognare i dirigenti e i commentatori di centro-sinistra, era dovuto anche al fatto che lì si erano confrontate ipotesi politiche diverse, in parte alternative, e che erano echeggiate parole e idee diverse dal solito, condivisibili o meno, ma non scontate. Ma nella seconda fase della campagna elettorale il centro-sinistra non è stato in grado (e forse non ci ha nemmeno creduto fino in fondo) di imporre i confronti tra i diversi capi delle coalizioni. Ritenendosi incumbent, magari non lo riteneva neppure vantaggioso. Ma essere incumbent nei sondaggi, quando perdi centralità nell’agenda dei media, significa illudersi.
4. La campagna elettorale ci ha ricordato (dovremmo saperlo, ma spesso ci ricadiamo anche noi) che se il populismo è una brutta bestia l’illuminismo è la morte della politica, e non solo perché c’è la tv. Soprattutto in Italia. Ragionare pacati va bene se c’è qualcuno con cui ragionare. Altrimenti a un Paese smemorato, incazzato e impaurito devi anche dare la possibilità sognare un cambiamento. [Ah, e le tasse, in un Paese di poveri proprietari di case, se proprio si devono mettere si mettono, non si annunciano].
lunedì 25 febbraio 2013
Spotify contro iTunes, il darwinismo crudele del web
Spotify, il servizio di streaming musicale per abbonamento nato in Europa, è la vera sfida a iTunes e alla Apple. |
A fornirti La canzone
mononota di Elio o Scream & Shout
di will.i.am e Britney Spears son bravi tutti. Allora ho provato con qualcosa
di più difficile, tipo The Planets di
Gustav Holst: ne avevano otto esecuzioni diverse. Poi ho cercato La lontananza nostalgica utopica futura
di Luigi Nono. E c’era anche quella. Kilindini
Docks: tre versioni. D’accordo, Spotify, ti pagherò i 10 euro al mese per
avere con me, in streaming, tutta la musica che voglio. Sul pc, sul mac,
sul tablet e sul telefono. E’ qui che mi sono detto: ecco un altro terreno sul
quale Apple è seriamente minacciata. E se non cambia passo…
I concorrenti di Spotify. |
La libreria di iTunes è stata la grande invenzione che ha
sepolto gran parte dell’industria discografica e delle catene dei suoi
retailers (mettendo in crisi i vari Tower Records ecc. in America e Inghilterra
e qui Messaggerie e Ricordi). E dando una risposta alternativa allo scarico
abusivo di musica. Ma adesso anche quella formula sembra datata. iTunes è
basato sostanzialmente sul download dei brani. Scarichi una canzone e paghi un
euro scarso. Un euro è un micropagamento, la soglia sotto la quale non dai
importanza al valore del danaro. Ma quell’euro, sommato a tanti altri, fa una
bella somma. E soprattutto, un pezzo scaricato, anche legalmente, non è un
pezzo “di tua proprietà”. Non è come un cd o un vecchio disco di vinile. Non lo
lascerai ai tuoi eredi. Più probabilmente lo perderai nei meandri degli hard
disk, assieme alle migliaia di foto fatte con lo smartphone. Sì, puoi
riscaricarlo, puoi metterlo sul cloud e ritrovarlo lì chissà per quanto tempo.
Forse. Ma non è più “cosa tua”. Una volta che sei passato mentalmente dalla
proprietà di un bene al suo usufrutto hai già compiuto una rivoluzione mentale.
Dolorosa per i feticisti come me, che hanno collezionato per decenni libri e
dischi. Ma forse inevitabile. E tanto comoda.
iTunes Store nella versione 11.0. |
E allora, a quel punto, non è meglio lo streaming (se la
rete funziona)? Non è meglio portarsi dietro tutta la musica del mondo invece
della tua piccola parte? Non è meglio scambiare playlist invece che dischi o
chiavette di mp3? In più Spotify esce in iOs a 320kbyte, una qualità che, ascoltata con un medio impianto hifi, per non parlare delle spaventose
cuffiette degli smartphone, è indistinguibile da quella di un cd. E
soprattutto, hai a portata di mano tutta la musica del mondo. (No, non tutta, i
Beatles per ora non ci sono, mentre iTunes finalmente li ha avuti. Ma chi non
possiede un album dei Beatles? E gli accordi con le majors sono tuttora in
corso).
Il confronto tra i vari servizi di streaming e downloading secondo il britannico Which? (I prezzi sono in sterline). |
Avverrà la stessa cosa anche con il video? E’ solo questione
di tempo, arriveranno Hulu, Netflix e company. I dischi non scompariranno, i
dvd e bluray non scompariranno, così come non sono scomparsi i teatri d’opera.
Ma quanta gente va all’Opera?
P.S.: Come tutte le
applicazioni social, anche Spotify è
fantasticamente intrusiva. Oltre a consentirti di scambiare playlist ti informa
anche di quello che ascoltano gli amici. Leggo sulla barra a destra che in questo
momento (8.15 del mattino) Guia Soncini sta ascoltando l’ennesima canzone di
Guccini. E’ la community, bellezza.
domenica 17 febbraio 2013
Perché fabfazio e giankaleone hanno capito tutto
Fazio e Littizzetto, scommessa vinta. |
A Sanremo concluso possiamo serenamente affermare che Fabio
Fazio e Giancarlo Leone, anzi @fabfazio e @giankaleone, i loro avatar su
twitter, hanno capito tutto. La loro è stata un’operazione politico-editoriale
pensata, costruita, abilmente gestita (solo qualche sbavatura, ma “quando si
taglia l’albero qualche scheggia arriva”) che lascerà un segno nella Rai del
dopo-elezioni.
Il soviet degli autori di Sanremo 2013. |
1.
Cominciamo dagli ascolti. Sono stati certamente
favoriti dal fatto che Raidue fosse spenta (i partiti che impongono le tribune
elettorali in prima serata sono patetici come quelle ex fidanzate che pensano
ancora di poter imporre qualcosa al loro ex, e i risultati d’ascolto sono stati
da prefisso telefonico, solo amici e parenti). Ma se Raidue fosse stata accesa
non avrebbe portato via più di due punti al risultato di audience del festival.
Il dato davvero importante è che il Sanremo di Fabfazio e Giankaleone ha
raccolto più attenzione sul pubblico giovane, centrale e delle grandi città. La
Sipra dovrebbe far loro un monumento, perché nella crisi spaventosa degli
investimenti pubblicitari la profilazione dell’ascolto è il vero valore
aggiunto.
2.
In scarsità di risorse (i soldi per fare il
festival erano davvero pochi) i mattoncini usati da Fazio e dai suoi autori per
costruire il festival 2013 sono stati quelli che provenivano dal loro mondo, il
fazismo-lasettismo. Sostanzialmente il mondo di Raitre, quel mondo che va da
madre Teresa a Bollani. Raitre portata su Raiuno. Un’operazione che ha
funzionato perché corrisponde a smottamenti reali nel pubblico. Non tanto o
soltanto elettorali ma culturali e valoriali. Il middlebrow di Fazio (il coro
dell’opera mixato con il recupero “da sinistra” di Al Bano, Cutugno ecc. ecc.)
può far sorridere i commentatori più snob ma, alla fine della fiera, è
un’operazione culturale, di quelle che tanti anni fa si sarebbero definite
“egemoniche”.
Sanremo 2013: il coro canta dell'Arena di Verona canta Va Pensiero. |
3.
Il linguaggio visivo del Festival è la
dimostrazione plastica di quell’operazione. Duccio Forzano è un regista molto
attento alle tendenze internazionali, uno che si intriga anche di tecnica, di
linguaggi, di illuminazione, di grafica, di qualità dell’emissione. L’immagine
del festival potrà essere anche middlebrow ma probabilmente grazie a quel set
milioni di persone hanno scoperto chi erano Burri o Lucio Fontana, e grazie a
quell’immagine qualche produttore televisivo in meno reciterà la celebre
giaculatoria “ci vuole più luce, è tutto troppo scuro” tipica dell’ignoranza
nostrana verso le tendenze internazionali del broadcasting tv.
4.
Ovviamente questa operazione è una formula
chimica molto instabile: basta che uno dei componenti sia inserito in dosi
sbagliate o non abbia la composizione prevista che tutto precipita. E’ accaduto
con l’incipit di Crozza nella prima serata (ma non poteva prendere un microfono
e scendere dal palco?) e con l’antico monologo da circolo Arci di Bisio nella
serata finale (eppure Bisio è un grande improvvisatore, ma la prima volta è
come entrare a dire messa grande in Duomo, evidentemente). Comunque, nella
somma generale delle serate questi momenti di impazzimento della formula sono
comodamente rientrati, anche grazie alla rabdomantica capacità di tenere il
palco dimostrata da Luciana Littizzetto.
5.
Se questa è una possibile prefigurazione della
Rai del futuro, fossi in quelli del Giornale
e di Libero non mi scalderei troppo.
A crisi finita (e prima o poi, almeno un po’ la situazione migliorerà) una Rai middlebrow, intelligente e un po’
educativa consegnerà praterie intere di telespettatori a chi saprà fornire
un’alternativa politicamente ed eroticamente scorretta.
venerdì 15 febbraio 2013
Pubblicità: è dura ragazzi, ecco i dati Nielsen
Sono usciti gli ultimi dati della Nielsen (gennaio/dicembre
2012). E’ dura, ragazzi. “Il mercato della pubblicità chiude il suo peggiore
anno degli ultimi 20 con una performance negativa del -14,3%, scendendo per la
prima volta dal 2003 [...] sotto la soglia degli 8 miliardi di Euro a prezzi
correnti”. In termini reali, secondo Nielsen, si torna praticamente ai livelli
di oltre vent’anni fa, al 1991. Crollano tutti i mezzi: giornali, tv,
affissioni. E il web? Il web sale del 5% ma, ragazzi, sono spiccioli. Con i
soldi guadagnati in più dal web in pubblicità ci pagate al massimo tre fiction
di Raiuno.
Tutti hanno tagliato: automobili (e te pareva), food,
telefonici, abbigliamento. E’ salito solo il turismo grazie ai voli low cost e
alla guerra ferrovie/Alitalia per la tratta d’oro Roma-Milano.
Il numero degli inserzionisti non è calato di molto (almeno
quello), ma ciò che è calato sono i budget delle multinazionali del largo
consumo, che hanno liberato molti soldi a favore dei Brics, dove gli
investimenti sono, evidentemente, molto più remunerativi.
L'universo di riferimento è quello dei mezzi rilevati da Nielsen ad eccezione dei Quotidiani dove vengono utilizzati i dati FCP-ASSOQUOTIDIANI solo per le tipologie: Locale, Rubricata e Di Servizio e delle Radio dove vengono utilizzati i dati FCP-ASSORADIO solo per la tipologia Extra Tabellare. Le elaborazioni sono effettuate con il contributo di FCP - ASSOQUOTIDIANI e FCP - ASSOPERIODICI.
1 Per i dati di Stampa Commerciale Locale, Rubricata e Di Servizio la fonte è FCP-ASSOQUOTIDIANI 2 lI dato comprende le emittenti Generaliste, Digitali e Satellitari 3 Le elaborazioni sono effettuate con il contributo di FCP -ASSORADIO 4 CINEMA: Universo di riferimento non omogeneo
2012 The Nielsen Company All rights reserved.
E quindi? E quindi si taglierà. Ma non sarà sufficiente.
Taglia, taglia, alla fine tagli anche il ramo su cui sei seduto. Bisogna anche
riposizionare. Bene ha fatto Raiuno a fare un Festival un po’ più giovane di
target (e smettetela di contare i milioni di teste, i milioni di teste ormai
contano poco e niente, conta il profilo). Bene fa il gruppo Discovery con i
suoi Realtime e DMax, che hanno aperto mercati nuovi. Ma sono gocce nel mare. I
dati gennaio su gennaio (2013 su 2012, che già era un pianto) di Sipra e
Publitalia segnano un pesante meno.
Si devono dare tutti una svegliata, Mediaset per prima. Se
puntano tutto sulle fortune politiche del Fondatore avranno una grossa
delusione (e mi sa che lo sanno benissimo, ma fra il dire e il fare...). Anche
la 7, di cui lunedì sapremo (forse) i destini, deve decidere cosa fare da
grande (quando le elezioni saranno finite e gli ascoltoni con i leader
politici, le uniche star gratuite sul mercato, finiranno).
E’ peggio che in guerra. Ma vinceranno le idee nuove, non i
tagliatori di professione.
mercoledì 13 febbraio 2013
Sanremo e le insidie del politically correct
Crozza, applausi e fischi all'Ariston. |
Ieri si è dimesso il Papa, oggi è stato sconsacrato Sanremo.
La contestazione a Crozza (per quanto fatta da un gruppo sparuto di militanti)
è il segno di quanto sia difficile, anche se probabilmente inevitabile, l’operazione
tentata da Fazio & C. sul Festival.
Crozza ha commesso un errore tattico (iniziare con l’imitazione
di Berlusconi, forse per un problema di trucchi speciali, o forse perché la gag
del chansonnier era la più contestualizzata alla situazione festivaliera); e le
recenti esperienze a RaiTre e alla 7 gli avevano fatto scordare cosa significhi
lavorare in un clima ostile. Crozza, che aveva un repertorio più adatto al
pubblico di Ballarò che a quello di Sanremo, ha subìto, anche se è andato
avanti. Domani qualcuno si lamenterà pesantemente, magari pregustando vantaggi
elettorali della serie chiagni e fotti.
Certo a questo Sanremo non manca la notiziabilità. E non
mancheranno neppure, nonostante le prevedibili polemiche, gli ascolti.
[UPDATE delle 10.00: La prima serata del festival ha fatto il 48% di share, previsioni confermate].
[UPDATE delle 10.00: La prima serata del festival ha fatto il 48% di share, previsioni confermate].
La realtà è che Fazio e i suoi hanno tentato di rinnovare
con prudenza, misurandosi con i pochi soldi a disposizione per gli ospiti,
rinfrescando abbastanza coraggiosamente il decor (l’immagine del festival 2013
è una delle più innovative viste finora). E soprattutto, lavorando con i
mattoncini che sono loro più congeniali (mattoncini sempre politically correct,
forse un po’ troppo). Probabilmente una nuotata meno rigorosa e più libera nel
mare aperto del pubblico generalista avrebbe loro giovato. L’equilibrio lo
troveranno per strada (la Littizzetto il suo l’ha già trovato dall’inizio, ma
lei è la vera furbona del festival).
Effetto politico? Agenda abbastanza di centro-sinistra, con
probabile contraccolpo di vittimismo di centro-destra. Risultato: palla al
centro, aspettando Al Bano e i Ricchi e Poveri. E guardando Grillo (ma quello è
nelle piazze).
martedì 12 febbraio 2013
Sanremo e l'Italia smarrita
Sanremo 2013, il palco. |
Ripropongo qui il mio post pubblicato ieri sull'Huffington Post.
Il festival di Sanremo, che già tutti pronosticavamo al
centro del circuito politico-mediatico della settimana pre-elettorale, è stato
pesantemente spiazzato dalla storica breaking
news delle dimissioni del Papa. Bastava vedere la conferenza stampa d’inizio
festival (e per vederla si doveva andare su internet, in quel momento tutti i
canali facevano le straordinarie su ben altra conferenza stampa, quella di
Padre Lombardi) per capire che la balena è stata spiazzata. Ma sarà anche
spiaggiata? Già sui social network si addensano fosche previsioni (“dei
cantanti e dei comici del festival non interessa più a nessuno, tutti vogliono
sapere di Benedetto XVI”). Sarà
davvero così?
Luciana Littizzetto. |
La mia personale previsione è che no, non sarà così. Non
sarà così dal lato degli ascolti (che andranno benissimo). Sarà così per l’eco
mediatica, per gli ascolti che “non si contano ma si pesano”? Forse domani il
clima non sarà il solito tra i giornalisti in sala stampa. Ma minuto dopo
minuto l’unico punto fermo della nostra società dell’incertezza, il Festival di
Sanremo, si ergerà comunque come un corale e salvifico punto d’incontro
dell’Italia smarrita. E tutti cominceremo a twittare. Se il giornale del
mattino era per Hegel la preghiera laica dei borghesi, le serate del festival
saranno, più modestamente, la nostra laica messa cantata, e insieme il punto di
compensazione delle nostre ansie e delle nostre incazzature. Esagero, eh? No,
non esagero. E Fabio Fazio lo sa benissimo. Il duo Fazio-Leone è una staffetta
di cavalli di razza da prima Repubblica. Giocano di sponda, ma non gli sfugge
mai il pallino.
Dicono che quest’anno la scenografia di Sanremo abbia gli
strappi sulle tele, come i tagli di Lucio Fontana. Nell’anno in cui tutte le
certezze crollano, nella crisi che “non dà visibilità” sul futuro, è stata
probabilmente una decisione profetica.
sabato 9 febbraio 2013
Ovvietà su Sanremo, è partita la giostra
Luciana Littizzetto e Fabio Fazio. |
Preparatevi, perché saremo sommersi dalle ovvietà. Nella settimana di Sanremo (che è anche la penultima della campagna elettorale) poiché scrivere un'articolessa è sempre meglio che lavorare, leggeremo:
1. che Fazio ha costruito un festival buonista, politically correct e furbetto;
2. che Littizzetto e Fazio guadagnano troppo;
3. che il "corto circuito mediatico" e bla bla bla ha fatto diventare Sanremo la Terza Camera mentre le tribune elettorali rimangono deserte;
3. che il "corto circuito mediatico" e bla bla bla ha fatto diventare Sanremo la Terza Camera mentre le tribune elettorali rimangono deserte;
I Modà. |
4. che la spettacolarizzazione della politica porta alla politicizzazione dello spettacolo;
5. che la tv generalista ecc. ecc. gli italiani, l'effimero, la memoria ecc.
5. che la tv generalista ecc. ecc. gli italiani, l'effimero, la memoria ecc.
6. Che tutto sommato Al Bano, Cutugno e i Ricchi e i poveri sono nazional-popolari e ci ricordano un'Italia più felice;
6. e qualcuno oserà perfino chiudere il proprio pezzo con un tombale "sono solo canzonette".
Perdonateli. (Anzi, condonateli). Scriveranno ovvietà perché in questo modo tremila battute vengon via facile, e ci si può riaccomodare sul sofà a seguire Sanremo (tuittando, naturalmente).
6. e qualcuno oserà perfino chiudere il proprio pezzo con un tombale "sono solo canzonette".
Perdonateli. (Anzi, condonateli). Scriveranno ovvietà perché in questo modo tremila battute vengon via facile, e ci si può riaccomodare sul sofà a seguire Sanremo (tuittando, naturalmente).
mercoledì 6 febbraio 2013
Meno sondaggi e più confronti
[UPDATE: L'Agcom ci ha ripensato ed ha proibito la diffusione dei sondaggi, anche attraverso l'App per smartphone e tablet, dal 9 gennaio. E adesso chi indennizza Weber (e quelli come me che hanno pagato)?]
Ho scaricato, a pagamento, un'App per i miei iPad e iPhone che si chiama PoliticApp ed è realizzata dall'Swg. Tutte le mattine alle 7 mi sveglia dandomi l'ultimo sondaggio. Dicono che continueranno a farlo anche nel periodo dell'embargo, grazie ad una falla nella regolamentazione dell'Authority (per cui i servizi su App e la loro eventuale diffusione tra i propri "amici" di facebook non vengono considerati messaggi broadcast, non sono pubblici).
Ho scaricato, a pagamento, un'App per i miei iPad e iPhone che si chiama PoliticApp ed è realizzata dall'Swg. Tutte le mattine alle 7 mi sveglia dandomi l'ultimo sondaggio. Dicono che continueranno a farlo anche nel periodo dell'embargo, grazie ad una falla nella regolamentazione dell'Authority (per cui i servizi su App e la loro eventuale diffusione tra i propri "amici" di facebook non vengono considerati messaggi broadcast, non sono pubblici).
L'Applicazione di SWG sull'iPhone. |
Tralasciando ogni valutazione sulla pessima idea di farsi svegliare ogni mattina dal bip del nuovo sondaggio dell'ottimo Weber (ci saranno metodi migliori per iniziare la giornata) il punto è che ormai i sondaggi non sono sondaggi ma metasondaggi: il sondaggio è parte di una catena comunicativa, è assieme effetto e concausa dei possibili ondeggiamenti nelle intenzioni di voto e soprattutto interviene pesantemente nell'agenda mediatica della "notiziabilità".
L'utilità di tutto questo ambaradan è tutta da dimostrare. Tanto gli italiani sono notoriamente, oltre che smemorati, ansiosi e permeabili all'effetto bandwagon, dei simpatici bugiardi per quanto riguarda le loro intenzioni nel segreto dell'urna. I più vecchi ricorderanno che ai tempi della prima repubblica non trovavi mai nessuno che votasse democristiano (e poi la Dc vinceva regolarmente le elezioni).
Il vero punto è un altro: siccome i sondaggi sono fotografie e non segnano tendenze di lungo periodo il vero problema non è il risultato singolo ma la centralità mediatica di quello che fai. Che non può essere confusa con "l'errore di inseguire l'avversario sul suo terreno".
In altre parole: consiglierei a chi si sente ancora vincente ma un po' appannato rispetto alla centralità mediatica di rovesciare il tavolo: sulla gara a chi le spara più grosse non c'è partita. E nessuno sa ballare il tip-tap meglio di un Fred Astaire (sia pure sovrappeso). Sul terreno del confronto diretto, invece (a tre, a quattro, a cinque, a sei) il principio di realtà vince sulle sirene populiste, di qualunque genere. Sarebbe bene richiederlo a gran voce, questo confronto. Puoi essere incumbent nei sondaggi e - allo stesso tempo- non essere più centrale nell'agenda mediatica. A lungo andare non è una buona cosa, perché i sondaggi sono una foto, ma la vita è un film.
lunedì 4 febbraio 2013
Dopo Ralph: la Disney piacerebbe a Walt Disney?
I cattivi dei videogiochi, riuniti come gli alcolisti anonimi (Ralph Spaccatutto, ©Disney) |
Ho portato mio figlio Mattia (5 anni e mezzo) a vedere Ralph Spaccatutto, il nuovo cartone
della Disney [in una multisala di un centro commerciale, Uci Cinemas di Roma. Il
film è iniziato dopo 40 minuti di trailer vari e orrida pubblicità locale, e
dovrebbero anche vergognarsi]. Ma
comunque.
Ralph mi dà la possibilità di parlare di cos’è oggi la Walt
Disney. Una corporation di successo (42 miliardi di dollari di fatturato nel
2012, e in borsa va benissimo). Una corporation che probabilmente annoierebbe
il suo fondatore. Il caso è molto interessante, perché la Disney è il contrario
di Apple.
Disney ha nel brand il suo tesoro, come Apple. Ma Disney ha
esternalizzato quasi tutta la creatività: i film di animazione migliori li crea
e realizza Pixar (con tutto l’enorme indotto di merchandising e attività
ancillari); Disney ha appena comperato la Lucasfilm con tutta la sua legacy di
Star Wars; ha acquisito Marvel, con tutte le franchise di supereroi
possibili e immaginabili; possiede la ABC, che è quella che sforna Grey’s
Anatomy, Once Upon a Time ecc., gestisce l’ESPN, con tutto l’immaginario
sportivo americano; fa opinione nell’elettorato delle famiglie americane grazie
a Good Morning America, al top del daytime Usa; ecc.
Bowser, il cattivo di Supermario Bros. |
Con tutto questo, i film di animazione Disney al 100% sono
generalmente scontati e banali (a meno che dietro non ci sia una personalità
autonoma, in grado di imporre le proprie scelte creative, com’è stato per Tim
Burton con Frankenweenie. Lui sa come tenerli a bada anche perché tanti anni fa
fu coinvolto, da dipendente, nel più brutto film d’animazione uscito dalla
factory, Taron e la pentola magica).
Anche Ralph, nonostante il successo al
box office, è il classico film costruito a tavolino per i bambini che amano i
videogames (c’è perfino il Bowser, il cattivo di Supermario che manda in
visibilio chiunque giochi con il Nintendo). Poca ironia, quasi assente la
seconda lettura, non c’è un protagonista realmente forte, la storia è sconnessa
e banale. Però funziona, come un detersivo. Da usare e dimenticare. L’opposto
dei film della Pixar, insomma.
Quando Walt Disney era vivo, come ha raccontato una volta
Chuck Jones “la sua società non distribuì mai uno straccio di dividendo”.
Perché Disney era impegnato a costruire un mondo e la sua pignoleria lo portava
a fare e disfare, facendo saltare tutti i conti e mandando nella disperazione
il fratello Roy, che era quello dei soldi.
Tom Hanks interpreterà Walt Disney in Saving Mr Banks, in uscita a giugno. |
E' grazie a quella follia creativa che ancor oggi il brand
Disney è quello che: ciò che gli ha dato la forza economica per assorbire
factory creative ormai molto più creative della casa madre. Bravo Iger ad aver
gestito questa fase. Ma la Disney sembra sempre più un potente conglomerato di
creatività esterne, un ministero dell’immaginario americano. Il brand non
promette, rassicura. Forse è inevitabile. Come dice mio figlio quando vede l’identity Disney col
castello della Bella addormentata: “Papà, ma la Disney è un pezzo della
Pixar?”.
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