giovedì 1 agosto 2013

Topolino va a Modena, Milano più grigia

Federico Pedrocchi e Mario Gentilini a Milano, nel 1937 (fotomontaggio).
Le pubblicazioni Disney italiane passano alla Panini di Modena. E anche la redazione (con comprensibili sofferenze e mugugni). [UPDATE: Disney e Panini hanno finalmente accettato di mantenere la redazione a Milano, me l'ha confermato Tito Faraci.] 
Cominciamo col dire che è un bene che, dovendo scegliere, il Publishing Disney abbia scelto un'azienda vispa e attiva sul mercato come la Panini, che da tempo non significa solo figurine, ma è anche una interessante e prolifica casa editrice italiana. Con Topolino si sposta a Modena una delle poche realtà un poco americane e tanto italiane che esportano, a loro modo,
I Classici di Walt Disney:
da Milano in tutto il mondo.
in tutto il mondo. Perché da decenni gran parte del materiale Disney a fumetti distribuito in tutto il mondo viene dall'Italia. Con il nostro spirito, la nostra creatività e anche con la nostra cultura. Pochi "educatori" di professione, mentre spendevano ettolitri di inchiostro ad ammonirci contro l'invasione della cultura giapponese attraverso i manga e gli anime, si sono accorti che nel frattempo noi italiani esportavamo nel mondo Dante, i Promessi Sposi e molti tratti della nostra way of life attraverso un medium apparentemente americano come i fumetti disneyani pidginizzati a Milano. In bocca al lupo agli artisti disney e alla Panini per questa scommessa non facile, visti i tempi.
Storie di Romano Scarpa
pubblicate in tedesco.
Una cosa però va detta: quanto si è spenta la cultura di massa milanese in questo quarto di secolo? Milano era la città di Topolino, dei grandi rotocalchi, e anche la città del Linus di Oreste del Buono, dei Gialli Mondadori, di Urania. Non era la città del cinema ma era la città della pubblicità, che ha rinnovato lo stile del cinema italiano immettendo nel ciclo produttivo legioni di direttori della fotografia, di creativi, di registi che finalmente riscoprivano l'importanza dell'aspetto visivo e del montaggio dopo la sbornia trasandata degli orrendi 16mm degli anni settanta. Era la città dei jingle, e se volete anche quella di Claudio Cecchetto (che ha creato, tanto per dirne uno, Lorenzo Jovanotti). Per non parlare del mondo delle tv private, che nel bene e nel male costrinse tutti a rinnovarsi. A governare i Navigli oggi c'è un buon sindaco (e anche un assessore pazzoide, che conosciamo bene, ma vabbè).
Milano: la redazione di Linus, negli anni sessanta.
Ma questo non è un problema che può risolvere, da sola, un'amministrazione comunale. E'come se i milanesi fossero diventati un po' meno milanesi, avessero perso un po' della loro caparbietà e fiducia nel futuro. Per fortuna ci sono gli immigrati: forse le vere novità della cultura di massa sotto la Madonnina saranno scritte in cinese.
Aggiornamento: La decisione di Panini Comics di lasciare la redazione a Milano è una buona notizia per la continuità di un gruppo di lavoro importante per la creatività italiana. La questione generale dell'appannamento del ruolo di Milano come locomotiva della cultura di massa in Italia invece rimane.

1 commento:

  1. bel post e bellissimo spunto. Se si pensa a Milano, fa impressione pensare al capitale sociale e culturale che si è dissipato in quest'ultimo trentennio.
    Spiace ricordarlo, perché spiace sempre far ricorso a quella reductio ad hitlerum dei poveri che è l'antiberlusconismo, ma temo che una delle principali ragioni di questo drammatico impoverimento sia stato il monopolio berlusconiano. Se le aziende del cav, ancora negli anni 80, sia pur nel male che hanno rappresentato per la cultura e la società di questo paese, disponevano ancora di una "spinta propulsiva" che sosteneva l'innovazione (ottimo l'appunto sulla "riscoperta del montaggio" dopo le sciatterie travestite da intellettualismo degli anni 70), dalla "discesa in campo" in poi tutto si è ammantato di un'orrida patina di "sorrisi e canzoni" che ci hanno riportato dritti agli anni '50 (senza neanche più una cultura "alta" a far da autorevole contraltare) e a quella provincia cronica da cui non riusciamo più in alcun modo a risollevarci.

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