sabato 31 marzo 2012

Addio Rodolfo Cimino, un giorno ti studieranno


Topolino e la Collana Chirikawa, testi e matite di Romano Scarpa, chine di Rodolfo Cimino (c) Disney, 1960
Questo blog si occupa di media e ogni tanto è bene ricordarci che i media non sono solo la tv e internet. Se hai un'età sopra i trentacinque è plausibile che la tua formazione sia stata determinata più dalle letture giovanili che dalla televisione. E per letture giovanili intendo in primo luogo i fumetti. E parlando di fumetti, in primo luogo i fumetti disneyani. E parlando di fumetti disneyani, se non altro per un fatto quantitativo, in primo luogo le storie disneyane scritte e disegnate dagli autori italiani. Storie come quelle di Romano Scarpa, di Giambattista Carpi, di Pierlorenzo De Vita, di Giorgio Cavazzano, che sono state pubblicate e lette non solo in Italia ma quasi in tutta Europa (soprattutto in Germania, Francia e nei paesi nordici) dalla metà degli anni sessanta in poi.
Rodolfo Cimino
Siamo per molta parte figli di quelle letture, figli di quel topo e di quel papero. Ieri è morto Rodolfo Cimino, che era stato l'inchiostratore delle migliori storie di Romano Scarpa, come Topolino e la collana Chirikawa, una sorta di noir hitchcockiano che gli sceneggiatori americani della Western (a parte il sommo Barks) neanche se lo sognavano. In seguito Cimino aveva scritto le sceneggiature per centinaia di altre storie, più o meno una per ogni numero di Topolino per altri vent'anni.
Il giacimento di creatività, di alto artigianato e in alcuni casi di arte vera e propria che è stata la fabbrica mondadoriana e poi disneyana cresciuta attorno al settimanale Topolino aspetta ancora una valutazione adeguata ai suoi meriti. Prima o dopo la cultura italiana dei media, ormai così distratta dal contingente da aver perso la capacità e anche la voglia di studiare dovrà pur riscoprire, anche solo in termini linguistici, quella lunga, importante storia.
Una storia disneyana di Rodolfo Cimino con il personaggio di sua creazione, Reginella (c) Disney

giovedì 29 marzo 2012

mercoledì 28 marzo 2012

Dopo Fede

Fede lascia il Tg4 e Mediaset, era un braccio di ferro che si trascinava da tempo e che le ultime vicende hanno soltanto accelerato. Non escludo che dare la firma del giornale al Direttore responsabile dell'altra testata (Studio Aperto) sia un modo per unificare progressivamente le redazioni. D'altronde con i tagli di budget previsti non ci sono molte altre strade. Il sistema All News (TgCom24) è destinato ad acquistare sempre più centralità, e dopo le elezioni amministrative la linea più unbiased di TgCom potrebbe anche diventare un modello editoriale prevalente per l'informazione Mediaset. Ma sono solo ipotesi, naturalmente.

Luca & Paolo e i vandali della tv


Vorrei parlarvi di Luca e Paolo. Intesi come Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu. Era una notte buia e tempestosa del 1997 e mi trovavo a Genova per vedere lo spettacolo dei Cavalli Marci, un gruppo di cabarettisti molto bravi di cui mi avevano parlato bene i miei collaboratori. Dovevo metter su un programma comico e in testa avevo solo l’idea che sarebbe dovuto essere il supplemento comico di Target. Pensammo a Ciro come titolo, perché  Ciro era già una rubrica di Target. Ma i comici non li avevo ancora trovati.
Alcuni Cavalli Marci nel 1997 (a destra, Luca e Paolo)
I Cavalli Marci (c’erano anche Pulci, Bianchi, Denei, Lamberti, ovviamente Rufus Nocera e Alessandra Torre come autrice) si esibivano in un teatrino vetusto quanto può essere vetusto un teatrino genovese. Avevano un pubblico di fan molto affettuosi, tutti giovani, e faceva un freddo bestia. I Cavalli erano tanti, credo 15 persone. Alcuni più forti, altri meno. Il loro capo aveva il carisma di un leader portuale, un grand’uomo, si chiamava Claudio Nocera. (E’ morto giovane, Rufus, quando non aveva ancora potuto dare tutto quello che aveva in corpo, ed erano molte cose). A un certo punto sul palco salgono ‘sti due, mi pare facessero una gag in cui interpretavano due siciliani. Avvertii quella musichetta che sento in testa quando un problema si  è risolto. Dopo un minuto di sketch pensai: trovati. Il cast è fatto. Gaia  De Laurentiis c’è, adesso con Bertolino e la Littizzetto si può andare in onda.
Claudio "Rufus" Nocera
Ciro andò in onda e subito i critici fecero la loro parte. Il critico di Repubblica (non era Dipollina, era uno che adesso fa l’autore televisivo) ci attaccò a spada tratta. Scrisse una cosa profetica: sono sicuro che questi qua spariranno subito e ce li dimenticheremo. Anzi, per l’esattezza: “rischiano di uscire dalle cronache più rapidamente dei vandali di Piazza Navona” [Si riferiva ai vandali che nel 1997 avevano danneggiato la fontana del Bernini].
E’ sempre un errore sottovalutare Luca e Paolo. Hanno una riserva di energia nascosta, una specie di turbo intelligente che ti travolge quando meno te l’aspetti. Parlando di animali, se Paolo è un gattone, uno che graffia quando deve, Luca è un cane, uno di quei cani di razza che si fingono bastardi: studia il territorio, ti fa un’abbaiata simpatica e tu pensi che can che abbaia non morde. Invece morde. Non li freghi, Luca e Paolo.
In bocca al lupo a Luca e Paolo per Scherzi a parte. Come scrisse quel lungimirante critico tv, sono peggio dei vandali di Piazza Navona. Lo scrisse 15 anni fa, e non riesco proprio a ricordare il suo nome.

martedì 27 marzo 2012

Volo a vista



Panariello ha resistito. Anche grazie a Barbarossa (le migliori luci mai sprecate in un brutto film) ma non solo. Si conferma la tesi che c’è una domanda di intrattenimento generalista, rivolta essenzialmente alle ammiraglie. Chi torna alla tv si aspetta lo sforzo produttivo di una volta, e quando trova un vero showrunner , anche su testi magari non eccelsi (è il caso di Panariello), accetta il patto.

Chi invece fa fatica a resistere, per ora, è Fabio Volo su Raitre. Volo era la carta più “pesante” dell’ intrattenimento leggero/giovanile su Italia Uno e su Mtv. Dove per “pesante” non si intende noioso ma di una leggerezza non priva di contenuti e di una visione del mondo.
Trasportato in un ecosistema, quello di Raitre, totalmente diverso, dove il peso specifico, in contenuti, del minuto televisivo è di un’unità di grandezza superiore (talvolta è un vero e proprio macigno), vacilla. L’effetto “boccata di aria fresca” prodotto dall’incipit della sua prima puntata sullo spettatore più disincantato può aver avuto sullo zoccolo tradizionale del pubblico di Raitre la lettura di effetto “acqua fresca”. Su Raitre il pieno è un basso continuo e il vuoto si avverte subito. E non basta l’intervista semiseria all’intellettuale di turno per correggere il difficile impatto del linguaggio televisivo di Fabio Volo sul pubblico che prima seguiva la Dandini sul divanetto con Eugenio Scalfari.
Poiché il mio mestiere non è certo quello di fare il critico televisivo non mi addentro in una analisi della scaletta e dei contenuti in dettaglio del programma di Volo. Posso solo dire che è quasi una regola il fatto che scegliere strade nuove porti inizialmente a perdere lo zoccolo duro del proprio canale, senza tuttavia riuscire a intercettare un altro pubblico. Gli ex-ragazzi che in passato guardavano Mtv (o meglio le ex-ragazze: il pubblico di Volo, televisivo, cinematografico e letterario è eminentemente un pubblico femminile, et pour cause), quasi non riconoscono i primi tre tasti del telecomando terrestre. E quindi, è un lavoro complesso e non scontato evitare che il “passo” di Volo venga scambiato per un’interferenza di Radio Deejay alla festa dell’Unità. Un cambiamento o comunque una rimodulazione dell’offerta di una rete tv è sempre una fatica lunga e nel breve periodo dolorosa. Andrà meglio se Volo e il suo nuovo pubblico troveranno un punto d'incontro. Come dice l'autore più odiato dagli scrittori italiani "lo spazio di un errore è uno spazio di crescita".

lunedì 26 marzo 2012

Il dopoguerra della tv





L'attenzione della stampa in questo momento è rivolta alle performance di chiunque faccia talk o programmi di satira, in quanto reduce anti-Cav (a proposito di Cav, Caverzan sul Giornale, secondo me sotto tortura da parte del suo direttore,  ha perfino arruolato Fabio Volo tra i reduci antiberlusconiani, forse perché sta andando in onda su Raitre, con questo criterio andrebbe messo l'elmetto anche a Licia Colò). D'altronde in questo Paese chi guarda i talk e i programmi di satira è generalmente il "ceto medio riflessivo", come si diceva qualche anno fa, un ceto che probabilmente oggi  più che riflessivo mi sembra stanco e confuso. 
Sabina Guzzanti
Che lo spegnersi della seconda repubblica avrebbe fatto tramontare rendite di posizione di ogni genere l'avevamo predetto in così tanti che per mettersi nell'elenco bisogna prendere il cartellino numerato come alla asl.
Ma detto così, tutto sommato, è davvero troppo semplice. Il punto è che non abbiamo vissuto solo il crepuscolo dell'era berlusconiana, abbiamo vissuto - e stiamo tuttora vivendo - la più grande crisi economica dal 1929. E' come se stessimo uscendo da una guerra. Se non si parte da questa consapevolezza, è inutile ragionare.
Quando milioni di persone vivono un'angoscia (angoscia di perdere potere d'acquisto, e peggio, angoscia di perdere il proprio lavoro) devono in qualche modo scaricarla, quest'angoscia. Ci sono due modi per farlo: l'escapismo (rassicurazione ottenuta trasferendosi in un mondo immaginario dove i conflitti vengono risolti nella narrazione) o l'impegno contro un bersaglio che viene visto come l'incarnazione delle nostre angosce. Anche questa, ovviamente, è una forma di escapismo. Tolto il villain però, davvero l'unica formula vincente rimane la prima? Il resto va nei saldi della tv?
Forse è la strada del talk show a tutti i costi, la personalizzazione del discorso in una situazione in cui i problemi sembrano più grandi delle persone che li incarnano o li agitano, a mostrare la corda. Non a caso programmi come Report o Presadiretta, magari per il loro corredo di anti-politica, ma senza dubbio anche per la capacità di focalizzare la narrazione delle issues, reggono benissimo: perché forniscono la terza dimensione, perché danno volti, storia (e micro-villains, veri o supposti) alle nostre angosce.

domenica 25 marzo 2012

L'orologio di Beautiful


 
Il cast originario di The Bold and the Beautiful (c) Bell-Phillip Television Prod., Inc.
Ho riletto un copione di Beautiful. Beautiful (The Bold and the Beautiful), uno dei daytime di maggiore successo della tv americana, ha debuttato nel marzo del 1987, e quindi compie un quarto di secolo, con 6,285 episodi trasmessi negli Stati Uniti, come oggi ricordano anche i giornali italiani.
Bill Bell (1927-2005)
Lo hanno inventato, scritto e prodotto i coniugi Bell. William Bell si alzava ogni mattina alle 5 per scrivere il soggetto, la moglie Lee, oltre ad esserne co-creatrice, si occupava anche di tutti gli aspetti tecnici e logistici della produzione, perfino delle vendite nelle zone non raggiunte dal network CBS. Questo frammento di copione è del 1990 e lo ha steso John F.Smith. Smith (nomen omen) ogni giorno riceveva il soggetto via fax da Bell nella sua casa alle Hawaii e si metteva a scrivere. E' una interessante lezione, anche se datata, di un meccanismo industriale (in realtà in questo caso potremmo parlare di artigianato efficiente) della fiction seriale. Notare soprattutto due cose: ogni line, ogni battuta, è appunto una line (insomma, dura una riga al massimo). E notare i beat.
Il focus di questo episodio è Caroline, già sposata a Thorne, ma ora a Ridge. Caroline sta morendo di leucemia. Suo padre, Bill Spencer, lo sa, così come suo marito, Ridge, e la sua amica, Brooke Logan, ma spera che nessun altro lo abbia scoperto. Stasera c'è una festa per lei. Si tratta essenzialmente di una festa di addio. La sua malattia in realtà non è un segreto per nessuno, ma Ridge ha chiesto loro di non farlo capire a Caroline. Vuole che i suoi ultimi giorni siano felici, non pieni di dolore.
Brooke è ora incinta di Eric, anche se Caroline spera che Brooke torni con Ridge dopo la sua morte.
La notte è particolarmente difficile per Thome, il fratello di Ridge ed ex marito di Caroline.
(Scusate per la traduzione approssimativa).

"THE BOLD AND THE BEAUTIFUL"
episode # 834 prod. # 01-0064-041S
tape DATE :   Tuesday,  July 3, 1990
AIR date:    Wednesday,   July IS, 1990

network: CBS-tv - STUDIO 31 7800 Beverly Blvd. Los Angeles, ca 90036

CAST
STEPHANIE
FELICIA
MARIA
RIDGE
CAROLINE
THORNE
BROOKE
ERIC
BILL


CREATED BY:  WILLIAM J. BELL
LEE PHILLIP BELL
EXECUTIVE PRODUCERS: WILLIAM J. BELL
LEE PHILLIP BELL
PRODUCED BY: HOPE HARMEL SMITH
JOHN C. Zak
COORDINATING PRODUCER: RON WEAVER
DIRECTED BY: JOHN C. ZAK
WRITTEN BY: WILLIAM J. BELL
JOHN F. SMITH
BRADLEY BELL
MARIA ARENA

PROLOGUE - SCENE ONE
FADE IN:
FORRESTER LIVING ROOM


(In accappatoio, si dirige verso la cucina con Maria, la scena è in svolgimento)

STEPHANIE
E ci serve lo champagne con gli hors d'oeuvres

MARIA
E per la cena?

STEPHANIE
Vediamo, per la cena.

MARIA
(Con aria interrogativa)
Vediamo?

STEPHANIE
Forse non ceneremo.
Dipende... dipende da come vanno le cose.

MARIA
Ma, Señora -

STEPHANIE
Per favore non farmi troppe domande, Maria. Ti farò sapere per la cena.

MARIA
, signora ... Sì, fammi sapere ...

(Maria esce, mentre entra Felicia - anche lei in accappatoio)

FELICIA
Il posto sembra bello. Anche festoso.

STEPHANIE
E' come lo vuole Caroline - e così dovrà essere.

FELICIA
(BEAT)
Cosa ti metti stasera?

STEPHANIE
E' una festa, Felicia - vestiamoci per l'occasione.

(FELICIA annuisce comprensiva, quindi)

FELICIA
Ho capito che sta per arrivare Brooke.

STEPHANIE
(Stoicamente)
E' stato un desiderio di Caroline.

FELICIA
(Delicatamente)
Mi dispiace, mamma.

STEPHANIE
Non essere dispiaciuta per me. E' Caroline
che merita ogni goccia del nostro affetto.

FELICIA
Sì, certo.
(BEAT)
Ma so che speravi che forse ... potesse succedere qualcosa ... che avrebbe potuto riportarti papà.

STEPHANIE
Non doveva essere.

FELICIA
(Di nuovo, delicatamente, guardandola) No, non doveva essere.

STEPHANIE
Mi piacerebbe che, in ogni caso, ti potessi occupare di Brooke questa sera.

FELICIA
Vuoi dire tenerla lontana da papà?

STEPHANIE
No. tenerla lontana da me.

(Contatto con gli occhi. Stephanie non è ostile, ma conosce i suoi limiti in una serata come questa ... DISSOLVENZA ...)

Il copione integrale è pubblicato in Jean Rouverol, Writing for Daytime Drama, Boston, Focal Press, 1992, pp. 222-246. 
(c) 1990 Bell-Phillip Television Productions, Inc.

venerdì 23 marzo 2012

Il futuro? Probabilmente Luxuria


Vladimir Luxuria all'Isola dei famosi
Mi sbaglierò, ma mentre tutti sono impegnati a discutere le performance della Guzzanti, della Dandini, di Volo ecc. c'è un conduttore/conduttrice che a me sembra in tutto e per tutto il nuovo che avanza. Che poi la cosa faccia piacere o no a chi mi legge, è un altro discorso. Il fenomeno tv del momento secondo me è Vladimir Luxuria. Giovedi sera la sua performance all'Isola dei famosi (di cui probabilmente, assieme a Pasquale D’Alessandro, è la salvatrice) è stata degna della migliore Carrà. Luxuria è il nuovo che avanza perché nella tv del dopoguerra vince chi è davvero post: post berlusconiano, post anti-berlusconiano, post-impegnato, post-scemo. Ma comunque post. Luxuria, è, ovviamente, post a tutti gli effetti, compreso il gender. E questa non va presa come una battuta cretina ma, al contrario, come un elemento serio di considerazione. Luxuria è generalista ma consapevole, sembra dire ai suoi spettatori: so quello che sto facendo, conosco questa realtà frivola e conosco anche il campo che si pretende serio e avveduto. Ho uso di mondo e sensibilità umana, perché il mondo mi è passato sopra. Voglio farvi divertire e se la vita e il tempo mi aiuterà potrò diventare la vostra madonnina transgender, che tutto comprende e tutti consola perché tutto ho vissuto, conosciuto e imparato. Che vi piaccia o no Luxuria è il governo tecnico: oggi dell'Isola, domani di Raiuno. Solo la Fornero potrebbe batterla, ma lì stiamo parlando di madonnine piangenti.

giovedì 22 marzo 2012

Glenville ritorna domani

Glenville ritorna domani. Scusate per l'assenza di qualche giorno. Nel vecchio Espresso che leggevo da piccolo il caporedattore in questi casi scriveva "XY è in viaggio". Ma erano Moravia, Paolo Milano ecc. Quindi meglio volare basso.

domenica 18 marzo 2012

Aboliamo i convegni (e i luoghi comuni) sulla tv



Il Venerdì di Repubblica mi ha chiesto un intervento per "Zona critica", che è stato pubblicato l'altroieri. Per la serie <non si butta via niente> lo ripropongo qui in versione extended. 
Tra i piccoli e grandi tagli frutto della spending review attuata dal governo Monti ne propongo uno che farebbe utilmente risparmiare un po' di soldi agli Enti Locali. Si tratterebbe di una leggina fatta di un solo articolo, dai contenuti solo apparentemente liberticidi.
Qualcosa del tipo: “Art.1: E' fatto divieto alle Amministrazioni locali di finanziare, promuovere, propagandare, diffondere convegni pubblici sulla televisione.”
Pensiamoci: dall’inizio degli anni ’90 i convegni sulla tv si abbattono come slavine su comunità montane, località termali, sedi universitarie disagiate, spiagge demodé. Nei primi tempi il tema era quasi sempre "Tv e cultura". Era come andare a vedere un giallo in cui il nome dell'assassino fosse già svelato nel titolo (almeno nell'opinione della maggioranza degli oratori). Di solito il consesso (oggi si direbbe il panel) era così composto: un professore di larghe vedute a cui piaceva Colpo grosso; un educatore- meglio donna- che evocava i pericoli della tv soprattutto per i bambini, bombardati dai cartoni giapponesi (non ho mai capito perché i cartoon americani venissero trasmessi mentre quelli giapponesi lanciati tipo napalm da qualche entità tipo drone). Poi c'era un sociologo, il quale dati alla mano dimostrava che gli italiani leggevano poco e male e soprattutto mai i suoi libri.
Dopo il 1994 e' arrivata la –per forza di cose lunghissima- fase dei convegni su "Tv e politica", che si sarebbe utilmente potuta condensare in un telegramma, il cui testo peraltro era già nella mente dei presenti ("Berlusconi-rovinato-Italia-con-televisioni-stop"). Raffinata analisi per la quale un sms sarebbe stato più che sufficiente.
Da qualche tempo la nuova hit è invece la convegnistica su "Tv e internet" (a cui i più spericolati aggiungono "quale futuro?"). Nelle sue ultime evoluzioni si trova anche nei gusti "Tv e social network". Questa versione, più aggiornata, comprende à la carte: lamento straziante sul digital divide, fatto di solito davanti a un pubblico che non sa aprire le email; considerazioni miste sul futuro della tv generalista (durerà, non durerà, puah!). E conclusione con accenti lirici per le prossime sorti, come al solito magnifiche e progressive, di una tv interattiva grazie alla Rete (qui il telegramma è "nei-paesi-arabi-la-rivoluzione-l'hanno-fatta-internet-e-al-jazeera”).
Come si può notare dalle vicende di questo ventennio niente hanno fatto i convegni sulla tv, la storia è andata per conto suo e anche quando ha compiuto una svolta, la gente più che al telecomando aveva guardato ai portafogli.
E con i soldi risparmiati grazie alla nuova legge? Un'idea un po' retrò: regalare dei bei libri alle scuole. Ma non agli studenti, agli insegnanti. Visto che con quello che guadagnano non possono neanche mettere piede in libreria. Chissà che non torni di moda il vecchio cavallo di battaglia per i convegni degli anni settanta: "Scuola e società italiana". Non erano mica brutti convegni, quelli.

sabato 17 marzo 2012

Non perdere Freccero


Chi conosce Carlo Freccero conosce anche le sue sfuriate telefoniche, che scattano smisurate e tracimano fino al gargantuesco solo in un caso: quando ritiene di aver subito un'ingiustizia. Perché a quel punto Carlo reagisce come un pittore a cui  un individuo improvvido, o peggio malevolo abbia strappato la tela già mezza dipinta. Freccero si arrabbia solo per la televisione. E' una reazione sproporzionata che si può comprendere solo come un atto d'amore.
Capitò perfino ai tempi della Fininvest: un giorno Galliani gli comunicò seccamente che gli avrebbero portato via Emilio Fede (sì, proprio Emilio Fede). A quei tempi Freccero era direttore di Italia Uno e il Tg di Fede si chiamava Studio Aperto. Fede con tutto il suo Tg fu trasferito su Retequattro, ma l'ira di Freccero (cui Galliani aveva inconsapevolmente tolto un fondamentale tassello freak della sua splendida costruzione dadaista) fu talmente violenta che Galliani se la legò al dito forever. E poco dopo Freccero fu sostituito.
Perdere Freccero per una sfuriata telefonica (trasformata magari in un insidioso trappolone) vorrebbe dire perdere il più grande creativo tv su piazza (ricordiamoci che anche la sua Rai4 è un indubbio successo editoriale) per una voce dal sen fuggita, in una conversazione, diciamolo pure, del tutto privata.  Nescit vox missa reverti. Ma una parola sbagliata è assai meno grave degli atti sbagliati che possono essere ascritti a tanti manager della televisione.
Altro discorso è questa storia per cui si registra senza dirlo. E per essere chiaro, mi riferisco ai giornalisti di Libero ma anche ai tanti programmi del meritorio giustizialismo televisivo. "Tu tappa la lucina rossa della telecamera e continua a girare". Va bene se devi far parlare un camorrista, ma se diventa la regola vorrei vivere in un altro Paese.

mercoledì 14 marzo 2012

La lezione degli Angela


Piero e Alberto Angela
Ho messo su tanti programmi di divulgazione scientifica (dalla Macchina del tempo a Gaia, fino all'attuale Cosmo con Barbara Serra) ma ho sempre continuato a pensare che Angela fosse imbattibile. (Non la pensavano così i conduttori dei miei vari programmi, dopo un anno di messa in onda me li ritrovavo sempre su qualche giornale a polemizzare per  distinguersi da Piero Angela, della serie "io sono il nuovo e tu il vecchio" ecc.).
Ho cominciato a seguire, da fan, Piero Angela quando conduceva il Tg delle 13.30, un esperimento di fine anni '60 che raccolse il meglio della Rai di allora. Con lui c'era Andrea Barbato e altri grandi professionisti, dopo di loro nello stesso studio arrivava Renzo Arbore e iniziava l'Altra domenica. Tanto per capire la qualità media (anche linguistica, "televisiva", della Rai di quegli anni). Io ero un ragazzino di terza media e per me erano dei miti.
In seguito Angela scelse la strada della divulgazione. Per un classico caso di contrappesi aziendali non fu scelto lui ma Tito Stagno (molto più ammanicato)  per condurre la Notte della luna del 1969. Poi Stagno tornò allo sport e Angela divenne Piero Angela.
Il mitico Tg Rai delle 13.30 (1969) Archivio Rcs.

In realtà la factory Angela (che non è composta solo da Piero e Alberto, con loro ci sono fior di professionisti come Lorenzo Pinna) ha un elemento di forza decisivo, conquistato - immagino - attraverso lunghe battaglie: si comporta come un gruppo di lavoro della Bbc. Cioé lavora come dovrebbe lavorare la televisione pubblica in un paese normale. Studia i temi in modo rigoroso, prepara, pianifica, realizza e mette in onda. Con largo anticipo. Ogni puntata ha una solida base scientifica (senza base seria non si fa seria divulgazione). Ogni puntata ha un vero copione, studiato e verificato. E poi ha l'esperienza, la rete di rapporti con la comunità scientifica e la library che puoi mettere in campo se sei presente costantemente e in modo qualificato per decenni. Oltre alla capacità di rinnovarsi.
Se non ci fosse stato Angela oggi non ci sarebbe nessun programma di divulgazione scientifica sulla tv generalista, in Italia. 
 Chiunque altro si sia trovato, nel bene nel male, a percorrere la strada di Angela, si è trovato di fronte ai tempi improbabili della tv italiana, ormai tarata sulla mistica della diretta e sui tempi produttivi da talk show (un giorno ho sentito un quadro amministrativo di una televisione dire, rispetto ai tempi di preparazione di un programma scientifico, "che fretta avete per il contratto? Tanto va in onda fra due mesi!"). Anche con Cosmo (di cui sono molto contento, anche se la prima puntata di quest'anno non ha fatto faville d'ascolto, ma su Raiuno c'era lo speciale del Tg1 su Dalla, penso che pian piano torneremo agli ottimi livelli della prima stagione) facciamo fatica a star dietro ai tempi di preparazione delle puntate. E questo è un punto che non vale solo per noi. In fondo i programmi di divulgazione scientifica, più o meno tradizionali, più o meno innovativi, sono dei documentari. E hanno bisogno dei tempi di preparazione di un serio documentario. Tempi che alla fine consentirebbero risparmi, ottimizzazioni e un prodotto più ricco. Perché un programma di divulgazione che non sia fatto solo di materiali comperati da qualche distributore internazionale ma sia invece costruito attorno a un lavoro di studio, di ricerca, di riprese e montaggi originali è comunque un valore che va "a library". Una cosa che rimane, come un buon libro. E quindi è un buon investimento. E perciò, tanto di cappello agli Angela.

domenica 11 marzo 2012

Maledetti Fantagenitori, sono diventato moralista


Sono cresciuto combattendo quelli che scrivevano sui giornali idiozie prima contro i fumetti ("Lettore di Diabolik uccide la moglie"), poi contro i cartoon giapponesi ("Goldrake è fascista") e ho molto amato il vecchio saggio di George Newton Gordon ("I bambini possono avere un effetto negativo sui fumetti?", in Sociologia del fumetto americano, Bompiani, 1966), per come irrideva le paranoie parentali sui comics.
Per questo mi è molto difficile scrivere qualcosa di critico su Due fantagenitori (The Fairly OddParents, creati undici anni fa da Butch Hartman per Nickelodeon e ora assoluta hit di quasi tutti i canali tv italiani per bambini). Quando però ho visto che perfino il Corriere della sera li distribuiva come dvd assieme al quotidiano mi sono chiesto: ma qualcuno a via Solferino li ha mai visti, i Fantagenitori? 
 E' vero che quando si diventa padri un po' ci si rincoglionisce, ma ecco i fatti: i Fantagenitori è una serie televisiva a cartoni animati di successo, arrivata a 9 stagioni (circa 130 puntate), il cui plot è presto detto. Timmy ha 10 anni e due genitori sempre assenti (oltre che abbastanza idioti e privi di responsabilità parentale, dei teen mal cresciuti, come la maggioranza dei genitori americani di oggi). Per cui Tommy viene abbandonato tutto il giorno con una baby sitter malefica, Vicky. Ma un giorno Timmy per magia ottiene due fantagenitori, Cosmo e Wanda, i quali lo salvano costantemente dai guai e esaudiscono qualunque suo desiderio. A meno che il desiderio non sia in contrasto con Da Rules, il Libro delle Regole: cioé quelle regole che i veri genitori non sanno inculcare ai figli. 
Il plot estremizza quel che si trova in molte altre serie animate americane di oggi. Negli anni '30 del secolo scorso e fino al baby boom compreso (anni '50)  i princìpi educativi americani tendevano ad abolire la figura parentale nelle storie destinate ai bambini (e giù ettolitri di inchiostro, da sociologi abborracciati,  sul fatto che Paperino fosse solo zio di Qui Quo e Qua ecc.). Era un modo per evitare, in una società ancora fondamentalmente puritana, qualunque riferimento al rapporto sessuale.
Oggi, con una famiglia media americana che di solito è perfettamente sfasciata, la soluzione editoriale è di ammettere e amplificare la realtà di genitori assolutamente poco credibili anche agli occhi di un figlio piccolo, privi non solo di carisma parentale ma anche di reale rapporto affettivo con il figlio. Mal comune mezzo gaudio, non sei l'unico a non avere una vera famiglia, ecc.
Per capirci, Homer Simpson è un inetto egoista ma a suo modo ama i figli, e comunque c'è Marge a risolvere i problemi e a rappresentare -assieme a Lisa-  l'elemento normativo.  Ma i Simpson sono una serie nata nel 1987. 
Total Drama: Revenge of the Island (Teletoon, 2007)
Oggi invece, quando la famiglia bene o male esiste e tenta, perlomeno, di assumere l'ingrato compito normativo che ogni genitore dovrebbe avere, la visione prolungata di queste serie, proposte a più ore del giorno rende la fatica dei genitori ancora maggiore. Diciamo che non fa una buona pubblicità al mestiere di padre e madre.
Programmata senza sosta è anche A Tutto Reality- La vendetta dell'isola (Total Drama: The Revenge of the Island), parodia iperrealista di una specie di Isola dei famosi dove tutto avviene esattamente come nel format originale, soltanto amplificato, e dove i "tipi umani" sembrano usciti da un casting italiano del Grande Fratello. Solo che il target originale è teens e in Italia la programmano sui canali per bambini piccoli. Mio figlio che ha quattro anni e mezzo e non ha mai visto un vero reality in vita sua sa tutto sulle regole per non essere nominati. La domanda è: devo trasformarmi in un genitore oscurantista o peggio iper-politically correct che abbassa ulteriormente il tempo concesso a mio figlio davanti alla tv (adesso è circa un'ora al giorno)? Devo lasciare che veda di tutto, tanto è già culturalmente corazzato, vive nel quartiere Mazzini e i suoi compagni di asilo (pubblico) non sanno neanche il romanesco? Non ditemi che devo passare più tempo con lui perché è esattamente quello che già faccio, divertendomi pure. Anche se purtroppo non gli piacciono più i trenini di Thomas & Friends.

venerdì 9 marzo 2012

I Giacobini dell'archivio Rai




Oggi le cronache comunicano, tra una puntata e l’altra della telenovela sull’asta delle frequenze tv, il ritrovamento dei Giacobini di Federico Zardi.
Spiego per i non brizzolati: i Giacobini è stato uno storico sceneggiato Rai, storico anche perché Palmiro Togliatti l’aveva lodato per non aver trattato i rivoluzionari francesi da stronzi assetati di sangue. I master dei Giacobini sono spariti da tempo dagli Archivi Rai. Barbara Scaramucci – alla quale prima o poi bisognerà fare un monumento perché se non ci fosse stata lei a metter su le Teche Rai adesso non troveremmo neanche il tg del rapimento Moro- ha ottenuto la registrazione (amatoriale) dell’audio della trasmissione da un appassionato. L’audio, non il video, perché ai tempi quello che si poteva fare da casa era registrare l’audio, magari con un Geloso (il registratore a bobine più diffuso ed economico del tempo), collegando l’ingresso audio del Geloso ai cavi rosso e nero che andavano dall’amplificatore interno agli altoparlanti del proprio televisore. (Esisteva anche un apposito accessorio Geloso, un cavetto che finiva con due pinze a coccodrillo, il che significa che un sacco di gente registrava l’audio dei programmi più amati per poterseli conservare).

Un registratore Geloso (1963)
Il problema è che molte altre cose mancano dai repertori Rai, ma nessuno ha mai spiegato bene la vicenda. Fino a metà anni ’60 si registrava solo col Kinescope, nel gergo Rai vidigrafo (in pratica, una macchina da presa 16mm puntata contro un normale televisore). Poi si è cominciato a produrre gli sceneggiati e i varietà non in diretta su Ampex da due pollici. Ma una bobina da due pollici costava come un mese di stipendio  di un tecnico, quindi si cercava di riciclare il più possibile i nastri. Nel caso dei Giacobini non escludo qualche ragione politica, d’altronde non è l’unico Ampex che manca all’appello nelle teche. Ma il punto centrale è un altro: nella cultura televisiva della Rai primigenia, nel suo dna, c’è l’idea (che viene dalla radiofonia) per cui il programma svanisce, evapora nel momento stesso in cui va in onda. E’ l’altra faccia della mistica della diretta. Si conserveranno solo le commedie, i concerti, gli sceneggiati (ma non tutti, appunto) proprio perché non sono “televisione” ma cultura alta. Ricordiamoci sempre che i dirigenti migliori della Rai sono stati per un quarto di secolo o ingegneri di Torino o intellettuali umanisti, in ogni caso gente che riteneva l’intrattenimento televisivo un’inevitabile incombenza da gestire nel modo più dignitoso e meno dannoso possibile per la collettività, ma sostanzialmente un sacco di cazzate.
Quando i repertori sono stati conservati, molto spesso era per ragioni legali (ci sono solo tre puntate di Lascia o raddoppia nelle Teche Rai, pochissimo di Campanile Sera, neanche una puntata di Settevoci e l’elenco potrebbe continuare all’infinito). 

Un vidigrafo
La Scaramucci (una vera giacobina) ha fatto in questi anni un lavoro enorme non solo per organizzare e rendere fruibile su Internet la "library" ma anche per farne capire il valore culturale. E oggi le Teche sono un’altra cosa. (Inutile dire intanto che alla BBC hanno conservato anche l’ultimo sternuto del 1939). Ma è nato un nuovo problema: dei programmi di intrattenimento dell’ultimo tentennio spesso la Rai non detiene completamente i diritti. Neanche quelli dei programmi prodotti internamente (la presentazione sì ma quel cantante  no, Celentano no ma Pippo Baudo sì, quel format no perché è dell’Endemol, quell’altro è scaduto ecc.). In alcuni casi è inevitabile; in altri si riaffaccia l’antica malattia della tv pubblica, quella cioé di considerare ciò che viene prodotto per le masse come “circenses” non degni di memoria.  E neanche di valore di mercato. Per cui se si perde l’ultimo film di Pierino qualcuno piangerà al Festival di Venezia, se si perde un’intera serie di un programma Rai la risposta è pazienza. 

martedì 6 marzo 2012

Panariello (r)esiste


Il logo dell'one man show di Panariello (Canale 5)

Quindi la crisi spinge in alto l’offerta generalista: Panariello con la sua prima puntata, che esibiva una sontuosa scenografia e testi un po’ meno sontuosi, ha superato il 27%. E soprattutto ha fatto il pieno sul pubblico giovane, toccando il 38% in Toscana (43% tra i 25-54)  e il 31% (36% sui 25-54) in Campania. Curiosamente la Lombardia è più bassa (24%, 27% sui 25-54). Gli unici a ritrarsi sono gli inguaribili mitteleuropei del Friuli-Venezia Giulia, cui naturalmente mi onoro di appartenere (13%, 20% sui 25-54). In ogni caso un successo, per quanto abbastanza replicante rispetto a RaiUno (l’one man show di Panariello sembra avere molti debiti con il suo omologo, diciamo così, fiorellesco). Vedremo le performance nelle prossime settimane, quando Panariello si troverà di fronte avversari più agguerriti (forse). In ogni caso ecco un bell’elemento di riflessione in più per i capi dei network: il pubblico torna alle ammiraglie quando le stesse si mettono in gran spolvero. Un bell’impegno, in questi tempi di vacche magre. Ma chi riuscirà a sfruttare questa domanda di cocooning televisivo l’avrà vinta.

sabato 3 marzo 2012

Apple alle Grandi Manovre, obiettivo Tv


Una simulazione della prossima Tv Apple

Apple alle Grandi Manovre. La tv di Apple (che si chiami iTv o meno) è ai blocchi di partenza, forse sarà lanciata in tempo per il Natale prossimo. Nel frattempo, sul mercato più importante, quello statunitense, Apple sta combattendo la battaglia decisiva: quella dei contenuti. E a occhio, non ha intenzione di fare prigionieri. Ho la vaga impressione che presto le tv che fino a ieri si sdilinquivano a lodare le capacità imprenditoriali e il genio di Jobs & epigoni cominceranno a sparare ad alzo zero. (A meno che Apple con compri tutto e tutti e chiusa lì, d’altronde oggi vale più del Belgio. Oggi Hitler non invaderebbe l’Austria, invaderebbe l’Apple).
Tim Cook, CEO Apple
Comunque: le ultime notizie sono che Apple ha fatto questa simpatica propostina ai capi dei grandi network (con in mente l’alternativa al cable, che negli Usa gestisce il flusso della televisione gratuita e a pagamento in gran parte delle case): voi mi date tutti i diritti, io trasformo i vostri canali in Apps. Naturalmente stabiliamo noi i prezzi e vogliamo anche entrare nelle decisioni sui contenuti. (Questa è più o meno la ricostruzione fatta dal New York Post, per carità è sempre il Post ma non credo che sia tanto lontana dal vero). Pare che mesi fa i capi della CBS abbiano letteralmente sfan**lato  i negoziatori di Cupertino. Apple comunque è andata anche dalle compagnie che gestiscono il cable proponendo loro di sostituire i loro antiquati set top box (gli scatolotti, insomma) con apparecchi Apple, l’iTv di oggi (lo scatolottino bianco collegato alla rete di casa) e, probabilmente, il prossimo tv Apple. Per ora gli operatori del cable non hanno mostrato grande entusiasmo preferendo, come dice il Post,  “tenere Apple ad una distanza di sicurezza dal lucroso mercato delle pay-tv, che negli Stati Uniti vale 150 miliardi di dollari”.

Ma Apple non ha fatto un plissé e prosegue come un carro armato sulla sua strada. Chi legge spesso questo blog si domanderà perché continuo a dedicare post a questa vicenda: secondo me è una vicenda chiave per capire come evolverà il mercato della tv.
Il grande atout di Apple, ciò che al di là di ogni altra considerazione -di mercato, di brand, di ecosistema con gli altri device come iPad e iPhone, ecc. - potrebbe determinare il successo del suo prossimo televisore è e resta Siri: cioé il programma che consente di dialogare in modo discorsivo con il televisore per fargli cambiare canale. E quindi la semplicità, quella cosa che unita all’eleganza da calligrafo di Jobs ha fatto il successo di Apple.
Con un iPhone e un programma open-source Todd Treece ha applicato Siri a un normale televisore

Per capire come potrebbe funzionare Siri su un televisore c’è una simulazione divertente fatta da Todd Treece hackerando Siri tramite la piattaforma Arduino e SiriProxy, con Siri che risponde dopo aver cambiato canale: “ma davvero vuoi vedere questa schifezza?”. Così dopo il Grande Fratello (nel senso di Orwell) avremo la Grande Zia. 

giovedì 1 marzo 2012

L'Auditel, TvBlog e il rumore rosa


Tv Blog ha aperto un dibattito inter-blogger (quanto sono bravi questi di Tv Blog, qualche critico tv dovrebbe imparare da loro) sull'Auditel e la qualità televisiva e Malaparte mi ha chiesto se ho qualcosa da dire.
 In realtà quello che penso dell'Auditel l'ho già scritto tempo fa e per il resto se Carlo Freccero mi avesse passato un foglietto con il suo intervento avrei potuto tranquillamente controfirmare.  Carlo dice quello che pensano tutti, ma detto da lui ha un altro suono. Uno si domanda: perché? Nella risposta a questa domanda, in realtà, c'è la chiave di tutto.
Ma prima, come nelle migliori serie tv, un bel flashback (con reverse: uuuossshh!).
I primi dirigenti Rai che ho conosciuto - non per lavoro, ma per rapporti culturali o giornalistici o sono per averli visti a qualche convegno, sto parlando della notte dei tempi - erano fondamentalmente, forse non tutti ma per la gran parte, degli intellettuali. Magari era gente che era stata messa lì dalla Democrazia cristiana, più tardi anche dal Partito socialista e qualcuno anche dal Pci (nella "Terza rete", come la chiamavano). Ma in quanto intellettuali

Gente che aveva la casa piena di libri, che aveva avuto un passato culturalmente interessante, magari erano cattolici conservatori, o cattolici di sinistra che poi erano diventati comunisti, oppure liberali diventati repubblicani o socialisti di prima che erano diventati socialisti di dopo, oppure gente uscita dal famoso "corso" da cui vennero fuori Umberto Eco e tanti altri. Si dividevano in due tipi umani: quelli che facevano televisione turandosi il naso (guardate cosa mi tocca fare) e quelli che si divertivano a farlo (tipo Guglielmi, ma non solo lui). Entrambi i tipi umani si ponevano ogni giorno la questione del pubblico. Se la ponevano e però la - come dire? - masticavano filtrandola con una serie di parametri culturali che impedivano loro, geneticamente, il crollo non tanto verso il trash quanto verso l'inutilità, verso il grado zero della comunicazione, verso il "rumore rosa". 
Carlo Freccero
Il rumore rosa (pink noise) è quel rumore disturbante che proviene dal televisore quando è acceso senza essere sintonizzato su nessun canale. Quel rumore in realtà è prezioso per i tecnici che devono regolare il suono, perché contiene in sé tutte le frequenze udibili. Molti programmi di oggi mi ricordano, appunto, il rumore rosa.  Ecco, quel tipo di dirigenti tv non l'avrebbero consentito. Così come persone come Carlo Freccero, che nella sua carriera è riuscito a inserire nei suoi palinsesti Emilio Fede, la D'Eusanio e Gian Franco Funari senza che ciò facesse della sua rete (parlo di Italia Uno ma anche di RaiDue) una rete del "rumore rosa". Riuscendo sempre, cioé, a produrre quella scintilla, quello sgurz che distingue il pensiero dalla banalità. 

 Può darsi, come diciamo spesso, che un giorno non ci sarà più bisogno di palinsesti. Ma comunque ci sarà bisogno di brand. Perché la televisione non è un programma ma un brand: ogni televisione è una chiave di lettura. Quando Channel Four trasmette un reality non trasmette quel reality ma quel reality all'interno di uno storytelling più complessivo (so che a Carlo piace tanto dire storytelling, quindi mi associo). Che non dà soltanto luce a quel programma ma propone anche ai suoi telespettatori una chiave per leggerlo. D'altronde, se vedi il reality dopo aver visto Black Mirror non è come se vedessi il reality dopo aver visto Centovetrine. Per quanto sia un prodotto industriale la televisione ha un bisogno disperato di brand. Cioé di idee. Viste da molta gente.