domenica 9 giugno 2013

Avviso ai naviganti: guardate tanta tv

L'anno televisivo ha gli stessi tempi dell'anno scolastico. Per fine giugno è finito tutto, si bruciano i libretti e si pensa all'anno nuovo. Anche se adesso il concetto di "periodo di garanzia" (cioè l'idea che gli ascolti fossero importanti solo in alcuni mesi strategici per gli inserzionisti) sta andando in crisi, i soldi sono talmente pochi che in estate si produrrà comunque ai minimi.
Quindi, se l'anno sta per finire, occorre cominciare a pensare ai proponimenti per l'anno nuovo. Il primo tra questi ha un contenuto che potrebbe essere considerato sinistro: bisogna guardare più televisione. Perché i gusti stanno cambiando. Lo dico anzitutto a me stesso, ma credo che la cosa riguardi tutti gli addetti ai lavori. E non solo. Ecco perché. 
La crisi non allontana il pubblico dalla tv. Anzi. Ma sta sedimentando una divisione netta nel pubblico televisivo: una maggioranza che aderisce, come e più di prima, alla tv generalista; questa maggioranza è divisa in due parti, in proporzioni ineguali. E una consistente minoranza che se ne è distaccata, anche nella abitudini quotidiane, in favore della galassia del digitale terrestre gratuito o della pay-tv. Sempre televisione, comunque.
Ciò cambia seriamente i termini della domanda da parte dei telespettatori. Le esperienze degli anni Novanta del secolo scorso, ma anche del primo decennio del nuovo secolo, sono sostanzialmente superate. Adesso c'è 
1) un vasto pubblico generalista che chiede intrattenimento "di base" e rassicurante, nella fiction, nei games, nel light entertainment. Un grande villaggio vacanze, senza pretese che non siano di mood (e in questa grande parte di pubblico ci sono anche molti giovanissimi); 
2) un'altra fetta di pubblico generalista adulto che chiede rassicurazione in termini di adesione alle sue apprensioni, sostanzialmente politiche e legate alla profondità della crisi. E le chiede in termini di "correttezza politica", di solidità culturale e di scelta di campo: il grosso del pubblico di Raitre -e anche in parte de la 7, almeno per com'è ora; 
Una famiglia americana davanti alla tv (1958).

3) una galassia, prevalentemente urbana, prevalentemente affluente, o che perlomeno si considera ancora tale, che sceglie la pay-tv come suo prisma di lettura della realtà e della televisione, e che a fatica prende in mano il telecomando di base della tv per schiacciare i primi sette tasti. Un pubblico che magari va anche su Realtime o D-Max proprio perché non li considera parte della "vecchia tv".
E' chiaro che non esistono confini precisi tra questi tre mondi, che al contrario si compenetrano e intrecciano continuamente, soprattutto quando un programma tv è considerato un "evento". Ma è altrettanto chiaro che certi giochi linguistici, certe strizzatine d'occhio, certe "seconde letture" che prima, anche in programmi destinati al pubblico generalista, venivano quasi teorizzati da tanti professionisti della tv, oggi non funzionano. Perché parlano ad un pubblico che sta da un'altra parte. La saldatura tra pubblici diversi (com'è accaduto, ad esempio, con il Sanremo di Fazio) passa non dalla sagacia delle doppie letture ma dalla capacità di costruirsi una rocciosa e corretta, anche se piacevole, "centralità", un ancoraggio all'interno del quale faccia la sua parte anche il dover essere del consumo culturale, del middlebrow come segno di elevamento sociale (ingiustamente disprezzato, a conti fatti, dai teorici tv degli anni Ottanta e Novanta).
Anche la politica italiana, dopo i suoi primi date con la Rete e i social network, impara che comunque gli orientamenti politici continuano a passare dalla tv, e che il second screen è, sostanzialmente, un amplificatore -e non un amplificatore hifi, anzi, abbastanza distorto- di ciò che avviene sugli schermi del salotto. Anche se "mio figlio sta sempre davanti al computer" e "i miei amici i programmi li vedono il giorno dopo in streaming". Che è la versione 2.0 del vecchio "non conosco nessuno che voti democristiano".
Perché, a conti fatti, streaming o non streaming, sempre di tv si parla. Ma non di una tv: di tante tv. E di tanti modi per fruirla. Ecco perché ci toccherà passare più sere davanti al teleschermo. Ed ecco perché tra un po' vedremo anche Beppe Grillo in un bel talk show.

1 commento:

  1. Ciao Gregorio, riesci ogni tanto a spiegarmi "quello che penso", te ne sono grato.
    la seconda lettura è diventata inutile, a me spettatore non serve più, la genero e la coltivo sul mio secondo schermo partecipando al dibattito tra paria. a me professionista non interessa più suggerire e mettere in scena una seconda lettura, è inefficace e autoreferenziale, e io ho smesso di sentirmi così interessante.
    Giuseppe

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