Barbara D'Urso durante l'intervista a Silvio Berlusconi a Domenica Live. Alle sue spalle, a sinistra, si nota Paolo Bonaiuti. |
Ciò che non è ben chiara, al di là delle facili ironie, è l’effettiva efficacia di questa strategia di comunicazione. Di primo acchito verrebbe da dire che sì, lo storytelling che ne deriva può avere una presa reale sul pubblico. Una specie di viaggio dell’eroe, un eroe ammaccato da mille vicissitudini ed errori di navigazione ma migliore dei suoi antagonisti, perché più empatico verso i destini dei suoi (tar/tassati) seguaci; e pronto a sbarcare in una terra nuova, forte dell'esperienza accumulata e di una rinnovata gestione degli affetti (la fidanzata!). Una rinascita, uno Skyfall appunto. Un discorso che parla la lingua del pubblico che segue Quinta Colonna e di una parte dello zoccolo duro di Amici.
L'Auditel ci restituisce infatti una discreta audience, in prevalenza femminile, con picchi nella fascia "bassa economica e sociale" (mi scuso per le definizioni, che non sono mie) e sui 15-34 anni. E quindi (analizzando freddamente l’operazione, ché a fare considerazioni più o meno sarcastiche sul conflitto d’interessi non serve un blog) il suo risultato B. l’avrebbe portato a casa.
Poi però si considerano due variabili:
1. la prima: questo non è stato solo il ventennio di Berlusconi ma anche il ventennio di programmi televisivi d’inchiesta che hanno abituato il largo pubblico a toni di duro incalzare nei confronti del potere: si tratta di un genere trasversale ai pubblici e alle reti, e indiscutibilmente popolare. Per cui l'intervista eccessivamente "cortese" stride. (Per capirci, mentre chi guarda Ballarò fa parte di un pubblico preciso, lo spettatore tipo di Report è più trasversale e anche più giovane);
Berlusconi ha scelto un mezzo tradizionale come il cartellone per raccontare le tappe dei suoi governi. |
2. il maquillage televisivo, dalle luci al trucco, dal "dettaglio a zero" nel controllo camere ai colori rassicuranti del fondale, dai toni dell’intervistatrice alle “teste” e “code” di blocco (e cioé gli sguardi, la mimica, le parole più o meno fuorionda, quei piccoli momenti di verità nei meccanismi della tv generalista) rappresentano un linguaggio che milioni di persone sanno oggi decodificare, in base a tutorial realizzati mille volte proprio da programmi come Striscia la notizia, Blob ecc.
Quindi l'efficacia reale dell’operazione, al di là della sua notiziabilità, sembra confinata al target di pubblico più fedele (nella fascia di sovrapposizione all'intervista, Domenica In è complessivamente di poco sotto Domenica Live, e i due programmi si rincorrono a sinusoide). Probabilmente il risultato può essere quello di aver motivato maggiormente al voto una parte dello zoccolo duro dell'elettorato che si ritrova nella politica, o per meglio dire, nella poetica di B. Ma l'effetto sarà duraturo se reiterato... (!)
Sul resto del pubblico il risultato non è affatto scontato, anche perché si scontra con un’agenda di mesi e mesi in cui la comunicazione di B. è risultata, coram populo, pesantemente contraddittoria. E soprattutto, con un vissuto critico seriamente sedimentato.
Rimane la questione di fondo: quanto avrà giovato a Mediaset un’esposizione così irrevocabilmente tesa a ribadire che si tratta dell’azienda “di famiglia”?
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