sabato 29 settembre 2012

Invece di leggere i sondaggi, leggete l'Auditel



A fine settimana, ecco il report: per quanto riguarda la vicenda de La7, la cordata italiana di Clessidra (Sposito con il super-partner/advisor Marco Bassetti) rimane la favorita. Complicato, anche se non impossibile, immaginare una partnership tra questa cordata e il gruppo Discovery (che dovrebbe rifornire di format e library la 7 deprivando però, in questo modo, il suo RealTime, unico vero successo editoriale di questi ultimi anni dopo Rai4). Staremo a vedere. Comunque per ora valgono le cose scritte in precedenza, mi pare.
X Factor 6: non c’è niente da fare, la libertà creativa e il linguaggio più moderno che sono consentiti a chi adatta i format per il pubblico (linguisticamente più scafato, diciamo così) di Sky si riverberano nella qualità del prodotto. E la cosa comincia a dare dei frutti.
Abbiamo avuto ragione (per una volta vorrei dirlo) a sostenere, nonostante i suoi limiti di conduzione, un esperimento innovativo come Pechino Express su Rai2. Come sempre, quando una rete deve ricostruire il proprio pubblico di riferimento, l’operazione non è né breve né facile. Occorre molta pazienza: ma gli ascolti cominciano a muoversi, e quello che è più importante, il target si sta ringiovanendo.
Finito il mattinale, parliamo del dato più interessante della settimana appena conclusa: il crollo di Don Camillo.

Fernandel e Gino Cervi nella serie cinematografica di Don Camillo.

Una quindicina di anni fa ho realizzato un documentario in varie puntate su Don Camillo, con la collaborazione dei figli di Guareschi, che è andato in onda su Canale 5 quando Costanzo ne era direttore. Ed ho imparato un po’ di cose. La prima: il Don Camillo dei film non è esattamente il Don Camillo dei racconti di Guareschi. Rizzoli e i suoi effettuarono quella che oggi chiameremmo un moral suasion sullo stesso Guareschi, ma soprattutto ingaggiarono sceneggiatori come Oreste Biancoli, che poi scrisse assieme a Zavattini Ladri di biciclette; e per i film successivi, scrittori come Benvenuti e De Bernardi, che dello spleen destrorso di Guareschi avevano poco e nulla (De Bernardi si mise a scrivere Il compagno Don Camillo subito dopo aver terminato Matrimonio all’italiana). In sostanza: Rizzoli non voleva troppo anticomunismo perché guardava al mercato cinematografico italiano e non voleva tagliarsi un’importante fetta di pubblico. Tant’è che la rissa al bar tra Don Camillo e i militanti comunisti c’è solo nella versione francese, in quella italiana fu tagliata.
Don Camillo cinematografico finì così per costituire il nerbo pop di quell’ideologia un po’ relativistica che fu propria della Prima Repubblica (è comunista ma è una brava persona, è un democristiano ma ci si può ragionare). Nella Seconda Repubblica Don Camillo fu ampiamente sfruttato da Retequattro soprattutto in fase pre-elettorale, dando alla serie rizzoliana una lettura diversa (ricordatevi che i comunisti esistono). 
Don Camillo: per la prima volta
è sceso al 4%.
Ma comunque anche nella Seconda Repubblica l’effetto rassicurante/catartico e arci-italiano della serie di Don Camillo, con conseguente successo d'ascolto, è stato innegabile, sopratuttto sul pubblico anziano. Tant’è che- assieme a pochi altri film, come la serie di Piedone e Marcellino pane e vino) i programmatori dei palinsesti li hanno sempre considerati dei sempreverdi, una gallina dalle uova d’oro a basso prezzo. La scorsa settimana, per la prima volta (complice Garko, una specie di arma-fine-di-mondo sulle italiane agée) Don Camillo è sceso sotto il 5% (4.72%, picco sugli over-65 e sui laureati). Sarà stato anche perché i programmatori di Retequattro lo hanno replicato fin troppo, ma comunque è successo. Per la prima volta Don Camillo sembra non parlare più di noi. Sembra racccontare un’Italia che non solo non c’è più, ma che non è nemmeno in grado di suscitare emozioni (a favore o contro). Il tema non è più comunisti-anticomunisti, berlusconiani-antiberlusconiani. Tutto sembra far parte di un mondo antico da cancellare (non userò, nemmeno sotto tortura, “rottamare”). Succede nei talk show. E succede anche nella narrativa. Ed è a cose come queste che i dirigenti dei partiti dovrebbero guardare, più che ai sondaggi pre-elettorali (che premiano sempre il committente, chiunque esso sia).

martedì 25 settembre 2012

Gli stranieri possono capire cos'è la 7?


Enrico Mentana. La trattativa sulla 7 è a uno stadio decisivo.

Non ho la palla di vetro e quindi non so prevedere come finirà la vicenda della 7. Mi sbaglierò, ma mi sono fatto un’opinione, anzi due:
1. Il business plan presentato da TiMedia, per quello che ho potuto leggere, è un libro dei sogni poco in sintonia con la situazione reale;
2. Al momento, gli unici che possono comprendere le potenzialità della 7 sono gli italiani.
Cerco di spiegarmi: sul primo punto, prevedere una lievitazione della raccolta pubblicitaria (previsione basata evidentemente su un incremento di share) significa aspettarsi un’ulteriore crescita della capacità attrattiva di un palinsesto da all news di lusso (visto che il daytime non è pervenuto). Quindi significa dire che una tv alla Mentana farà sempre più ascolto. 
Marco Bassetti, ex presidente di Endemol Group.
E se non c’è dubbio che l’arrivo di Santoro farà fare numeri rilevanti alla rete, è altrettanto vero che l’appeal generale delle trasmissioni legate alla battaglia politica è andato scemando, per le ragioni che anche qui abbiamo scritto mille volte (dov'è il nemico? il pubblico più fedele di questi programmi ormai non ci capisce più niente, tutti contro tutti, antipolitica prevalente, mentre spettacoli ingloriosi come quello della Regione Lazio portano, più che alla ribellione, alla nausea). E poi a marzo o ad aprile si voterà. E negli altri otto mesi, di che si parla?
Sul secondo punto: ma un tedesco (RTL), o un americano (Discovery), cosa possono capire di una tv così italiana come la 7? Non rientra in nessuno dei loro schemi (e quando parlo di schemi: non avete idea di quanto siano schematici i manager televisivi in giro per il mondo). E’ una all news? E’ una tv generalista? E’ una tv per maschi adulti cinquantenni che leggono il giornale?
Secondo me un tedesco o un americano capiscono bene solo una cosa: le frequenze e i tasti 7 e 8. Magari per buttarci dentro 12 ore di case ripittate, corsi di cucina e di bon ton. Ma i tasti 7 e 8 non sono affatto garantiti, come ogni cosa nel nostro Paese.
Il paradosso è che le potenzialità della 7 (certo, non lasciando il palinsesto così com'è ma prevedendo un tweaking, inizialmente morbido e poi più imperativo, rispetto ai costi e all’attuale linea editoriale) le possono capire meglio gli italiani. Italiani con una esperienza internazionale, naturalmente. Ma italiani. Anche quelli che ogni tanto vanno a fare un pranzetto a Villa San Martino, Arcore.

domenica 23 settembre 2012

Italia Loves Emilia, i discografici un po' meno

Lorenzo Jovanotti abbraccia Renato Zero durante il loro duetto
a Italia Loves Emilia, andato in onda sabato su Sky HD.
Sabato sera mi sono visto tutto il concertone per l’Emilia su Sky (dopo aver pagato, con soddisfazione, i dieci euro pro terremotati). Secondo me è stata una cosa importante, e non solo perché ha dato una mano agli emiliani - e questo sarebbe di per sé un motivo sufficiente. Ma perché è stato un esperimento del tutto nuovo per la televisione italiana. E come tutte le cose nuove, pone degli interrogativi.
1. Una cosa così importante come Italia Loves Emilia è andata in onda in tv solo per chi ha Sky a casa e la possibilità di accedere alla pay-per-view. La domanda banale è: perché non l’ha fatta la Rai, per qualche milione di persone? Dicono che alla Rai non l’hanno nemmeno proposta. Vabbé. Ma se fosse vero, c’è da rifletterci su. 
2. E’ stato il primo evento di questo tipo (correggetemi se sbaglio) proposto in pay-per-view, e secondo Sky (sto all’annuncio durante la diretta) ha raccolto 50.000 adesioni, quindi 500mila euro. Non è una cifra enorme ma non è neanche bassa, non solo perché 10 euro non sono pochissimi ma soprattutto perché il meccanismo del microacquisto non era così immediato come un one click (e quando le azioni da compiere per concludere un acquisto sono più di una la decisione di spesa dev’essere più convinta, dicono gli esperti). Quindi è una cosa che con altri eventi si potrà ripetere. Scusate se è poco.  Il concerto ha dimostrato che c’è lo spazio. 
3. Italia Loves Emilia è andato in onda solo in HD, come a definire un ambito linguistico in cui Sky si presenta pressoché da sola, “angel of the highest order”. E non perché la Rai non mandi in onda anche lei degli eventi in hd, ma perché quando lo fa non lo sa nessuno. E la trasmissione aveva un’ottima qualità tecnica, a parte qualche sbavatura sull’audio e sui ponti digitali, dovuta, probabilmente, alle poche prove effettuate. 
I pullman dei cantanti mentre vanno al concerto a Campovolo (foto scattate da Jovanotti
e postate su twitter).

4. Quelli che l’hanno visto hanno anche twittato molto. Si conferma sempre di più (non sono certo il primo a dirlo) che i social network e il “secondo schermo” sono il futuro della televisione intesa come broadcast, e cioé come programma visto da tante persone nello stesso momento.
5. Il concerto ha dimostrato che c’è un leader naturale, ancora non sfruttato quanto dovrebbe. Un leader non solo del mondo musicale, un leader generazionale vero. Naturalmente parlo di Lorenzo Cherubini Jovanotti. Che è il Benigni della generazione successiva, e in più ha una visione non provinciale delle cose, se non altro perché gira continuamente il mondo. Un leader vero, e cioé qualcuno in grado di generare entusiasmo, di unire sensibilità diverse e di dimostrare generosità (astenersi cinici blu almeno per stavolta, grazie).
6. Se non ho capito male, il concerto ha anche dimostrato di chi parliamo quando parliamo di discografici. Parliamo di gente che ha pensato fosse una furbata imporre a Sky un accordo capestro in base al quale parte delle esibizioni (e nel caso di Tiziano Ferro, gran parte dell’esibizione) andavano coperte dal talk (giustificabile quando si chiedevano soldi o si raccontavano episodi del dramma emiliano, molto meno per tutto il resto delle chiacchiere. E non è una critica a Cattelan e a Carolina Di Domenico, che se la sono cavata bene). 
Andrea Scrosati (Sky) spiega perché hanno accettato
le condizioni dei discografici.
 
7. Non dubito che anche qualche cantante si sia accodato a queste richieste dei discografici (update: o degli agenti, mi spiffera qualcuno). La loro idea del mercato e anche della difesa della proprietà intellettuale si spinge a ritenere che un utente medio sia in grado di registrare il segnale hd di Sky, superprotetto da una tecnologia a prova di bomba? O pensano che il loro prossimo bluray non avrebbe successo se nel frattempo escono i pezzotti in divx a bassa definizione? Secondo me bisogna comperar loro un biglietto per un giro del mondo, tanto per informarli che siamo da una dozzina d’anni nel nuovo millennio. O raccontar loro cosa ha fatto Louis C.K. negli Stati Uniti.
8. E comunque forza Emilia.





mercoledì 19 settembre 2012

Il futuro della 7, al di là dei rumors

Maurizio Crozza nei panni di Antonio Conte, nel promo
che lancia la nuova serie di Italialand, su La 7.

Qualche idea più precisa su come andrà a finire la vicenda de La 7 l’avremo dopo il 24 del mese, quando cioè saranno aperte le buste con le offerte dei possibili compratori. Per adesso, e molto a occhio, potremmo dire alcune cose:
1. L’ipotesi Mediaset era poco realistica, per mille ragioni. Ed è finita come non poteva non finire. Non se ne capisce bene la dinamica “pubblica”, onestamente, a meno di non fare ipotesi abbastanza complesse che riguardino il “chiamarsi fuori” esplicito e visibilissimo rispetto all’eventuale comparsa di offerte formali da parte di soggetti “non ostili” a Mediaset.
2. Sul possibile ingresso di Murdoch occorre capire quale sarebbe il modello di business, visto che Sky è comunque alle prese con la crisi economica e i suoi riflessi sulle capacità di spesa del ceto medio italiano, che spinge molti abbonati a non rinnovare (e la necessità di arrivare rapidamente al break even, dopo i grandi investimenti fatti in questi anni sulla piattaforma satellitare italiana, dovrebbe venire prima di tutto).
Enrico Mentana.
3. E’ appetibile o meno La 7? Sì, è appetibile. Chi arriva dovrebbe rivoluzionare il palinsesto? Sì e no. Chiunque arrivi, anche se avesse relazioni di buon vicinato con Arcore, difficilmente rinuncerebbe, almeno in prima battuta, ad un asset come Santoro, che può portare da mezzo punto a un punto in più di share del primetime (inteso su base settimanale): con diretto e conseguente risultato economico. E’ più probabile che si assisterebbe ad una ristrutturazione del palinsesto, magari smontando e rimontando i mattoni fondamentali del Lego della 7 (e magari rinunciando a qualche brick meno strategico). E poi quando mai Santoro ha tolto un voto a Berlusconi, soprattutto in tempi di derecha indignada?
4. Chiunque arrivi farà i conti con la forza contrattuale che alcuni dei più importanti agenti di spettacolo hanno acquisito, negli anni, sul palinsesto della 7, con effetti al momento non prevedibili.
5. In ogni caso i soldi messi sul piatto da Telecom per alimentare il palinsesto di questi ultimi due anni erano legati alla necessità di lustrare i gioielli di famiglia in vista della vendita, quindi chiunque arrivi dovrà rientrare in un budget più congruo rispetto alle prospettive di fatturato.
6. Se l’acquirente (o uno dei soggetti di un pool di acquirenti) fosse un content provider internazionale, quel soggetto potrebbe puntare ad economie di scala raggiunte localizzando formati e prodotti seriali nella sua disponibilità. (E ricordiamoci che la vera success story nel daytime televisivo di questi anni è RealTime).
7. Poi, naturalmente, potrebbe finire tutto nel nulla. E La 7 si confermerebbe come l'eterna Isabella di Castiglia della televisione italiana.

domenica 16 settembre 2012

Gli sgangherati segreti del film anti-islamico

Gli attori del film anti-islamico non proiettano ombre (cliccare
sul fotogramma per ingrandirlo).

Ma che roba è? Il film anti-islamico diretto da Alan Roberts che ha provocato le sanguinose proteste di questi giorni (e ha dato al terrorismo carte insperate) non è solamente disgusting sul piano dei contenuti, come ha detto Hillary Clinton; è anche orripilante sul piano della realizzazione. Roberts viene definito  regista di B-movies, ma come director e montatore dovrebbe scendere di qualche lettera dell'alfabeto. Non solo il film (evito il titolo perché non si sa quale sia quello giusto) è girato e montato in modo bislacco, ma i suoi attori non hanno mai visto il deserto (neanche quello del Nevada- che, certo, non è di sabbia).

Neanche nei b-movie si vede un uso così sgangherato di After Effects.

Tutte le esterne ambientate nel deserto sono state evidentemente  realizzate in studio con il greenback (chromakey) e poi "compositate" con cartoline prese chissà dove. Chiunque abbia usato After Effects si accorge che il lavoro sembra fatto da un principiante. Il compositing è realizzato talmente male che il trucco si vede anche a occhio nudo. Gli attori non proiettano ombre sul suolo, come se si muovessero su un pavimento di vetro sopraelevato rispetto al piano dell'azione; le prospettive spesso sono sbagliate; addirittura la luce del sole sullo sfondo arriva dalla direzione opposta rispetto alla luce, evidentemente artificiale, con la quale gli attori sono stati (malamente) illuminati. La realizzazione è talmente frettolosa da far pensare a scene aggiunte o decise all'ultimo momento. E pensare che c'è gente che è morta a causa di questa schifezza.

La Derecha Indignada funziona in tv

Paolo Del Debbio. Il suo Quinta colonna ("Mangio o pago
le tasse?")  regala finalmente un talk politico a Mediaset.

Non sono in grado di intervenire sulla questione “Mediaset vuole comperare la 7”, perché non ho elementi di prima mano e rischierei di dire delle bischerate. Se Mentana ha fatto quel popò di numero in diretta, forse qualcosa ci sarà. Magari grazie al SIC (chiedere a Pilati). E ci sono sicuramente imprenditori “non ostili” al fondatore della Fininvest, pronti a farsi avanti (qualcuno anche esperto del settore). Comunque, oggi c’è un altro dato significativo, anche se i commentatori non l’hanno ancora colto, mi pare.


[Update: ieri, 17 settembre, Quinta colonna versione Del Debbio ha superato il 7% su Retequattro (oltre 1.700.000 spettatori medi), quasi doppiando Lerner. Pubblico anziano, femminile, picco su istruzione elementare. Fenomeno tv da non sottovalutare.]

C'è una novità di rilievo nella galassia del talk show politici: mentre quelli più tradizionalmente “di sinistra” calano (e anche gli speciali di Mentana non fanno i numeri di qualche mese fa) per la prima volta altri talk, condotto da giornalisti e/o intellettuali che appartengono all'area di centro-destra, dopo anni di flop raggiungono ascolti più che dignitosi. E' il caso di Paolo Del Debbio su Retequattro. Ed è anche il caso di Gianluigi Paragone su Raidue. Perché?
Gianluigi Paragone, il primo a sdoganare
la derecha indignada.
  
Cominciamo col dire che Del Debbio è bravo. Adesso è anche dimagrito, da giovane era un bel fieu, come si dice a Milano. E' un intellettuale (in tempi non sospetti scrisse un saggio niente affatto banale sulla tv, Il mercante e l’inquisitore), e pur essendo stato ideologo antemarcia di Forza Italia, ha accettato una lunga gavetta al fianco della D’Urso e poi della Panicucci nei programmi del mattino. Del Debbio è una mente politica. Ma in fondo Michele Santoro che cos'è se non una mente politica? Sì, è un bravissimo drammaturgo, ma ogni bravo drammaturgo è a suo modo un politico, deve orchestrare. Bene: cos'ha orchestrato Del Debbio? Si è buttato sulla rabbia, l'incazzatura della gente e l'antipolitica. Grillo docet. Tanto il presidente mica è Berlusconi, è Monti. Ma attenzione, non l'ha fatto con i toni della Santanchè, toni efficaci solo in qualche mercato ittico e nelle vicinanze di villa San Martino. L’ha fatto con i toni del padre di famiglia. Della persona con la testa sulle spalle. Indignato sì, ma con stile. E funziona. Non so se sia una buona piattaforma elettorale per Berlusconi (magari porta qualche voto in più, ma poi chi lo prende su nel governissimo da lui agognato?). Ma televisivamente funziona. 
Barbara D'Urso ha fatto da levatrice alla formula
populista di successo.
Stessa cosa, per verità già dallo scorso inverno, stava facendo Gianluigi Paragone su Raidue. Anzi per esser giusti è a lui che si deve il primo sdoganamento televisivo esplicito della derecha indignada. Della serie "non guardo in faccia a nessuno" ecc. Ma Paragone lo fa con quello stile tra il folletto e il giullare pazzo che gli è proprio, efficace in seconda serata, tutto da verificare in prime time.
Comunque è un dato politico. E non è detto che non conterà in campagna elettorale. Perché se questo “chiede il mercato”, diciamo così, questo faranno tutti i talk, di destra di sinistra. E Monti? Monti sentirà fischiare le orecchie per le urla provenienti da tutto lo spettro del DTT contro le tasse, le fabbriche che falliscono e gli ospedali che chiudono. Insomma: finora, il pubblico dei talk show politici era di sinistra. Adesso sulla fedeltà televisiva di quel pubblico cominciano a serpeggiare dubbi, basta vedere le performance in calo di Lerner. In tutto questo, Ballarò regge sul prestigio da terza camera e sulla fedeltà del pubblico di più antica tradizione. Corrado Formigli è stato bravissimo a reggere infilzando Grillo, ma in altri tempi
Michele Santoro: si sta scaldando a bordocampo.
 una puntata come quella di due settimane fa avrebbe fatto almeno il 9%. E’ successo che al pubblico di appartenenza (antiberlusconiano per definizione, e già il termine sembra vintage) si è aggiunto un pubblico per rappresentanza: un pubblico incazzato, politicamente meno ideologizzato, in cerca di qualcuno che lo rappresenti. E il populismo mediatico può essere efficacemente interpretato anche dal centrodestra. Ancora più che da un conduttore o da una trasmissione "di sinistra" dai modi pacati, ragionanti ecc., ai confini della noia: insomma zona Lerner. C'è un unico mattatore che può ribaltare il tavolo -e che è bravissimo a fare il capopopolo a prescindere. Si tratta ovviamente di Michele Santoro. Che al suo ritorno potrà dire, parafrasando Renzi, “venga da me anche il pubblico di centrodestra". Ma non per assistere ad una mediazione, piuttosto per vedere il mangiafuoco in azione. Contro tutti. Coraggio, a marzo mancano ancora più di sei mesi.

venerdì 14 settembre 2012

L'intrattenimento tv: che fatica cambiare il menu


Costantino della Gherardesca in Pechino Express: un reality innovativo che ci avvicina alle
altre tv europee, ma avrebbe bisogno di un conduttore (in esterna, naturalmente).

Allora: la Rai sta finalmente cercando di svecchiare il suo linguaggio nell’intrattenimento. Non più soltanto messe cantate da studio ma programmi in location. Non più soltanto formati per nonni e zie ma la ricerca di un pubblico più centrale; e di un linguaggio visivo più moderno. D’altronde, i nuovi pensionati di oggi sono i sessantottini di ieri, saranno pur in grado di misurarsi con qualcosa di diverso dalle gare di vecchie canzoni e dalle rimembranze di Pinne fucile ed occhiali. O no?
In realtà, farlo non è mai facile come dirlo. Se c’è una vischiosità dell’elettorato, perché non dovrebbe esserci una vischiosità delle abitudini (o delle non-abitudini) televisive?
Ho sempre pensato che una rete televisiva assomigli non a un cinema, a un giornale o a un teatro, ma ad un ristorante. O se preferite, trattando di tv generalista, ad una trattoria. Ci sono quelle di antica tradizione, dove mangi sempre le stesse cose ma sai che le mangerai bene (ma a un certo punto tuo figlio si rifiuterà di entrarci); ci sono i posti dove ti infili solo quando i tavoli dalle altre parti sono tutti pieni (ma la volta dopo non ci torni più). Ci sono i ristorantini eleganti, quelli per habitué, ci sono i sushi bar con i loro kaiten. (E poi c'è l'asporto, con i nuovi modi di fruizione, ma vorrei evitare l'ovvio).
Simona Izzo in Pechino Express.
Il dramma è quando la trattoria, dopo aver cambiato più volte menu, un giorno ti propone il sushi o la fusion. Rischi di perdere le signore che si sedevano per l’abbacchio senza catturare quelli che la sera vorrebbero pesce crudo o orzo cucinato nei modi più fantasiosi. Forse prima devi cambiare le insegne fuori, trovare qualcuno di conosciuto che si sieda ai tavoli all’aperto e si faccia vedere, cambiare l’arredo e quasi tutto il menu. E poi devi aspettare. Aspettare, aspettare. Sentendoti fischiare continuamente le orecchie (quello è un flop, quell’altro programma è inutile, perché hanno chiuso il mio che andava tanto bene, ecc.).  L’unica bussola che puoi avere, in questi casi, me l’aveva raccontata tanti anni fa un capo di un network americano. “Sai- mi disse a cena- quando è arrivato il cable e l’HBO [un po’ come oggi sky e internet] abbiamo cominciato a tartassare quelli del marketing. Quali profili restavano scoperti, dove dovevamo infilarci, come massimizzare l’ascolto ecc. Poi un giorno ci siamo stufati e abbiamo detto: perché non mettiamo in onda le cose che ci piacciono? Senza troppa paura?”.
Sì, lo so, i tempi sono cambiati. Ma per rinnovare la tv non basta ascoltare. Bisogna anche parlare. Rendere comprensibile quello che si sta facendo. Credere in quello che si fa ed essere coerenti. E tenere duro. Sempre che i nuovi piatti del menu non siano la vecchia minestra con un diverso nome, naturalmente.

P.S.: Ma in questo lavoro titanico di svecchiamento di linguaggi, che ci stanno a fare -con tutto il dovuto rispetto per le persone coinvolte- le annunciatrici? Nel 2012? Annunciatrici? Ma perché? Ma in quale tv al mondo esistono ancora? Che funzione avrebbero? Con quegli occhi smarriti alla ricerca del gobbo? Con quei soldi non potete prendere uno studio grafico serio che vi faccia una vera impaginazione di rete,  da terzo millennio? Ecco, l'ho detto.