venerdì 14 settembre 2012

L'intrattenimento tv: che fatica cambiare il menu


Costantino della Gherardesca in Pechino Express: un reality innovativo che ci avvicina alle
altre tv europee, ma avrebbe bisogno di un conduttore (in esterna, naturalmente).

Allora: la Rai sta finalmente cercando di svecchiare il suo linguaggio nell’intrattenimento. Non più soltanto messe cantate da studio ma programmi in location. Non più soltanto formati per nonni e zie ma la ricerca di un pubblico più centrale; e di un linguaggio visivo più moderno. D’altronde, i nuovi pensionati di oggi sono i sessantottini di ieri, saranno pur in grado di misurarsi con qualcosa di diverso dalle gare di vecchie canzoni e dalle rimembranze di Pinne fucile ed occhiali. O no?
In realtà, farlo non è mai facile come dirlo. Se c’è una vischiosità dell’elettorato, perché non dovrebbe esserci una vischiosità delle abitudini (o delle non-abitudini) televisive?
Ho sempre pensato che una rete televisiva assomigli non a un cinema, a un giornale o a un teatro, ma ad un ristorante. O se preferite, trattando di tv generalista, ad una trattoria. Ci sono quelle di antica tradizione, dove mangi sempre le stesse cose ma sai che le mangerai bene (ma a un certo punto tuo figlio si rifiuterà di entrarci); ci sono i posti dove ti infili solo quando i tavoli dalle altre parti sono tutti pieni (ma la volta dopo non ci torni più). Ci sono i ristorantini eleganti, quelli per habitué, ci sono i sushi bar con i loro kaiten. (E poi c'è l'asporto, con i nuovi modi di fruizione, ma vorrei evitare l'ovvio).
Simona Izzo in Pechino Express.
Il dramma è quando la trattoria, dopo aver cambiato più volte menu, un giorno ti propone il sushi o la fusion. Rischi di perdere le signore che si sedevano per l’abbacchio senza catturare quelli che la sera vorrebbero pesce crudo o orzo cucinato nei modi più fantasiosi. Forse prima devi cambiare le insegne fuori, trovare qualcuno di conosciuto che si sieda ai tavoli all’aperto e si faccia vedere, cambiare l’arredo e quasi tutto il menu. E poi devi aspettare. Aspettare, aspettare. Sentendoti fischiare continuamente le orecchie (quello è un flop, quell’altro programma è inutile, perché hanno chiuso il mio che andava tanto bene, ecc.).  L’unica bussola che puoi avere, in questi casi, me l’aveva raccontata tanti anni fa un capo di un network americano. “Sai- mi disse a cena- quando è arrivato il cable e l’HBO [un po’ come oggi sky e internet] abbiamo cominciato a tartassare quelli del marketing. Quali profili restavano scoperti, dove dovevamo infilarci, come massimizzare l’ascolto ecc. Poi un giorno ci siamo stufati e abbiamo detto: perché non mettiamo in onda le cose che ci piacciono? Senza troppa paura?”.
Sì, lo so, i tempi sono cambiati. Ma per rinnovare la tv non basta ascoltare. Bisogna anche parlare. Rendere comprensibile quello che si sta facendo. Credere in quello che si fa ed essere coerenti. E tenere duro. Sempre che i nuovi piatti del menu non siano la vecchia minestra con un diverso nome, naturalmente.

P.S.: Ma in questo lavoro titanico di svecchiamento di linguaggi, che ci stanno a fare -con tutto il dovuto rispetto per le persone coinvolte- le annunciatrici? Nel 2012? Annunciatrici? Ma perché? Ma in quale tv al mondo esistono ancora? Che funzione avrebbero? Con quegli occhi smarriti alla ricerca del gobbo? Con quei soldi non potete prendere uno studio grafico serio che vi faccia una vera impaginazione di rete,  da terzo millennio? Ecco, l'ho detto.

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