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Costantino della Gherardesca in Pechino Express: un reality innovativo che ci avvicina alle altre tv europee, ma avrebbe bisogno di un conduttore (in esterna, naturalmente). |
Allora: la Rai sta finalmente cercando
di svecchiare il suo linguaggio nell’intrattenimento. Non più soltanto messe
cantate da studio ma programmi in
location. Non più soltanto formati per nonni e zie ma la ricerca di un
pubblico più centrale; e di un linguaggio visivo più moderno. D’altronde, i
nuovi pensionati di oggi sono i sessantottini di ieri, saranno pur in grado di
misurarsi con qualcosa di diverso dalle gare di vecchie canzoni e dalle
rimembranze di Pinne fucile ed occhiali.
O no?
In realtà, farlo non è mai facile
come dirlo. Se c’è una vischiosità dell’elettorato, perché non dovrebbe esserci
una vischiosità delle abitudini (o delle non-abitudini) televisive?
Ho sempre pensato che una
rete televisiva assomigli non a un cinema, a un giornale o a un teatro, ma ad un
ristorante. O se preferite, trattando di tv generalista, ad una trattoria. Ci
sono quelle di antica tradizione, dove mangi sempre le stesse cose ma sai che
le mangerai bene (ma a un certo punto tuo figlio si rifiuterà di entrarci); ci
sono i posti dove ti infili solo quando i tavoli dalle altre parti sono tutti
pieni (ma la volta dopo non ci torni più). Ci sono i ristorantini eleganti,
quelli per habitué, ci sono i sushi bar con i loro kaiten. (E poi c'è l'asporto, con i nuovi modi di fruizione, ma vorrei evitare l'ovvio).
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Simona Izzo in Pechino Express. |
Il dramma è quando la trattoria,
dopo aver cambiato più volte menu, un giorno ti propone il sushi o la fusion.
Rischi di perdere le signore che si sedevano per l’abbacchio senza catturare
quelli che la sera vorrebbero pesce crudo o orzo cucinato nei modi più
fantasiosi. Forse prima devi cambiare le insegne fuori, trovare qualcuno di
conosciuto che si sieda ai tavoli all’aperto e si faccia vedere, cambiare
l’arredo e quasi tutto il menu. E poi
devi aspettare. Aspettare, aspettare. Sentendoti fischiare continuamente le
orecchie (quello è un flop, quell’altro programma è inutile, perché hanno
chiuso il mio che andava tanto bene, ecc.). L’unica bussola che puoi avere, in questi casi, me l’aveva
raccontata tanti anni fa un capo di un network americano. “Sai- mi disse a
cena- quando è arrivato il cable e l’HBO [un po’ come oggi sky e internet]
abbiamo cominciato a tartassare quelli del marketing. Quali profili restavano
scoperti, dove dovevamo infilarci, come massimizzare l’ascolto ecc. Poi un
giorno ci siamo stufati e abbiamo detto: perché non mettiamo in onda le cose
che ci piacciono? Senza troppa paura?”.
Sì, lo so, i tempi sono cambiati.
Ma per rinnovare la tv non basta ascoltare. Bisogna anche parlare. Rendere
comprensibile quello che si sta facendo. Credere in quello che si fa ed essere
coerenti. E tenere duro. Sempre che i nuovi piatti del menu non siano la vecchia minestra con
un diverso nome, naturalmente.
P.S.: Ma in questo lavoro titanico di svecchiamento di linguaggi, che ci stanno a fare -con tutto il dovuto rispetto per le persone coinvolte- le annunciatrici? Nel 2012? Annunciatrici? Ma perché? Ma in quale tv al mondo esistono ancora? Che funzione avrebbero? Con quegli occhi smarriti alla ricerca del gobbo? Con quei soldi non potete prendere uno studio grafico serio che vi faccia una vera impaginazione di rete, da terzo millennio? Ecco, l'ho detto.
aspettare - ma non si fa più :-(
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