lunedì 21 ottobre 2013

Perché i tycoon del web investono sul giornalismo?

Jeff Bezos, fondatore di Amazon.

La scorsa settimana anche il fondatore di eBay, Pierre Omidyar, ha annunciato che intende investire nell'informazione, appoggiando Glenn Greenwald, il giornalista del Guardian che aveva tirato fuori le rivelazioni sulla NSA uscite dai documenti di Snowden. Per il nuovo sito di news scottanti di Greenwald l'uomo di eBay si è detto disposto a mettere sul piatto 250 milioni di dollari. Spiccioli per un magnate del web ma tanti soldi per l'agonizzante mondo della grande informazione. In pratica, ricorda il New York Times, la stessa cifra investita due mesi fa da Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, per
Pierre Omidyar, fondatore di eBay.
 comperare il Washington Post, la bibbia americana dell'informazione, il giornale che fece scoppiare il Watergate.  In questa tendenza Bezos e Omidyar (eBay) non sono soli: anche la vedova di Steve Jobs ha annunciato l'investimento in Ozy Media, una start-up di grande giornalismo. E Chris Hughes, uno dei fondatori di Facebook, ha comprato il New Republic. In generale, si tratta di investimenti non genericamente su "mass media" ma sul giornalismo, che nella dizione anglosassone ha un profilo "alto": significa inchieste, rivelazioni anche scomode, approfondimenti, lavoro sul campo ecc. Non marchette, per capirci.
Perché lo fanno? E' una forma di "europeizzazione", o addirittura di italianizzazione, della realtà americana? Anche nella terra del Quarto potere il giornalismo è diventato uno strumento di altri poteri? E' una forma di vanteria, una costosa fiche per entrare "in società" dopo un decennio passato a fare miliardi portando i propri jeans su e giù per la Silicon Valley?
MacKenzie McHale (Emily Mortimer), paladina delle
hard news in Newsroom.
 O è anche qualcosa di diverso? In fondo nessuno come i tycoon di internet e dell'high-tech sa utilizzare l'enorme possibilità della rete di "customizzare" un sito di informazioni per dare ad ognuno di noi quello che cerca. Ma c'è anche l'idea, alla quale noi cinici italiani magari guardiamo con ironia, che un'informazione di qualità possa rendere il mondo migliore. Lo so che a noi questi discorsi sembrano ingenue trombonate, e infatti non capiamo Newsroom: perché nel Paese della libera intrapresa, nell'America in cui "non è ancora morto di fame nessun puntando sul cattivo gusto", come diceva P.T.Barnum, le "hard news" sono ancora avvolte in un'aura sacrale che da noi non hanno mai avuto: l'idea di un contropotere che serve a bilanciare il rapporto tra governo e cittadini, tra società politica e società civile. E a mandare avanti la società. Magari è un'illusione, ma è quello che ci resta del Sogno americano.

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