lunedì 4 febbraio 2013

Dopo Ralph: la Disney piacerebbe a Walt Disney?



I cattivi dei videogiochi, riuniti come gli alcolisti anonimi (Ralph Spaccatutto, ©Disney)
Ho portato mio figlio Mattia (5 anni e mezzo) a vedere Ralph Spaccatutto, il nuovo cartone della Disney [in una multisala di un centro commerciale, Uci Cinemas di Roma. Il film è iniziato dopo 40 minuti di trailer vari e orrida pubblicità locale, e dovrebbero anche vergognarsi].  Ma comunque.
Ralph mi dà la possibilità di parlare di cos’è oggi la Walt Disney. Una corporation di successo (42 miliardi di dollari di fatturato nel 2012, e in borsa va benissimo). Una corporation che probabilmente annoierebbe il suo fondatore. Il caso è molto interessante, perché la Disney è il contrario di Apple
Disney ha nel brand il suo tesoro, come Apple. Ma Disney ha esternalizzato quasi tutta la creatività: i film di animazione migliori li crea e realizza Pixar (con tutto l’enorme indotto di merchandising e attività ancillari); Disney ha appena comperato la Lucasfilm con tutta la sua legacy di Star Wars; ha acquisito Marvel, con tutte le franchise di supereroi possibili e immaginabili; possiede la ABC, che è quella che sforna Grey’s Anatomy, Once Upon a Time ecc., gestisce l’ESPN, con tutto l’immaginario sportivo americano; fa opinione nell’elettorato delle famiglie americane grazie a Good Morning America, al top del daytime Usa; ecc.
Bowser, il cattivo di Supermario Bros.
Con tutto questo, i film di animazione Disney al 100% sono generalmente scontati e banali (a meno che dietro non ci sia una personalità autonoma, in grado di imporre le proprie scelte creative, com’è stato per Tim Burton con Frankenweenie. Lui sa come tenerli a bada anche perché tanti anni fa fu coinvolto, da dipendente, nel più brutto film d’animazione uscito dalla factory, Taron e la pentola magica). Anche Ralph, nonostante il successo al box office, è il classico film costruito a tavolino per i bambini che amano i videogames (c’è perfino il Bowser, il cattivo di Supermario che manda in visibilio chiunque giochi con il Nintendo). Poca ironia, quasi assente la seconda lettura, non c’è un protagonista realmente forte, la storia è sconnessa e banale. Però funziona, come un detersivo. Da usare e dimenticare. L’opposto dei film della Pixar, insomma.
Quando Walt Disney era vivo, come ha raccontato una volta Chuck Jones “la sua società non distribuì mai uno straccio di dividendo”. Perché Disney era impegnato a costruire un mondo e la sua pignoleria lo portava a fare e disfare, facendo saltare tutti i conti e mandando nella disperazione il fratello Roy, che era quello dei soldi.
Tom Hanks interpreterà Walt Disney in Saving Mr Banks, in uscita a giugno.
E' grazie a quella follia creativa che ancor oggi il brand Disney è quello che: ciò che gli ha dato la forza economica per assorbire factory creative ormai molto più creative della casa madre. Bravo Iger ad aver gestito questa fase. Ma la Disney sembra sempre più un potente conglomerato di creatività esterne, un ministero dell’immaginario americano. Il brand non promette, rassicura. Forse è inevitabile. Come dice mio figlio quando vede l’identity Disney col castello della Bella addormentata: “Papà, ma la Disney è un pezzo della Pixar?”.

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