Fazio e Littizzetto, scommessa vinta. |
A Sanremo concluso possiamo serenamente affermare che Fabio
Fazio e Giancarlo Leone, anzi @fabfazio e @giankaleone, i loro avatar su
twitter, hanno capito tutto. La loro è stata un’operazione politico-editoriale
pensata, costruita, abilmente gestita (solo qualche sbavatura, ma “quando si
taglia l’albero qualche scheggia arriva”) che lascerà un segno nella Rai del
dopo-elezioni.
Il soviet degli autori di Sanremo 2013. |
1.
Cominciamo dagli ascolti. Sono stati certamente
favoriti dal fatto che Raidue fosse spenta (i partiti che impongono le tribune
elettorali in prima serata sono patetici come quelle ex fidanzate che pensano
ancora di poter imporre qualcosa al loro ex, e i risultati d’ascolto sono stati
da prefisso telefonico, solo amici e parenti). Ma se Raidue fosse stata accesa
non avrebbe portato via più di due punti al risultato di audience del festival.
Il dato davvero importante è che il Sanremo di Fabfazio e Giankaleone ha
raccolto più attenzione sul pubblico giovane, centrale e delle grandi città. La
Sipra dovrebbe far loro un monumento, perché nella crisi spaventosa degli
investimenti pubblicitari la profilazione dell’ascolto è il vero valore
aggiunto.
2.
In scarsità di risorse (i soldi per fare il
festival erano davvero pochi) i mattoncini usati da Fazio e dai suoi autori per
costruire il festival 2013 sono stati quelli che provenivano dal loro mondo, il
fazismo-lasettismo. Sostanzialmente il mondo di Raitre, quel mondo che va da
madre Teresa a Bollani. Raitre portata su Raiuno. Un’operazione che ha
funzionato perché corrisponde a smottamenti reali nel pubblico. Non tanto o
soltanto elettorali ma culturali e valoriali. Il middlebrow di Fazio (il coro
dell’opera mixato con il recupero “da sinistra” di Al Bano, Cutugno ecc. ecc.)
può far sorridere i commentatori più snob ma, alla fine della fiera, è
un’operazione culturale, di quelle che tanti anni fa si sarebbero definite
“egemoniche”.
Sanremo 2013: il coro canta dell'Arena di Verona canta Va Pensiero. |
3.
Il linguaggio visivo del Festival è la
dimostrazione plastica di quell’operazione. Duccio Forzano è un regista molto
attento alle tendenze internazionali, uno che si intriga anche di tecnica, di
linguaggi, di illuminazione, di grafica, di qualità dell’emissione. L’immagine
del festival potrà essere anche middlebrow ma probabilmente grazie a quel set
milioni di persone hanno scoperto chi erano Burri o Lucio Fontana, e grazie a
quell’immagine qualche produttore televisivo in meno reciterà la celebre
giaculatoria “ci vuole più luce, è tutto troppo scuro” tipica dell’ignoranza
nostrana verso le tendenze internazionali del broadcasting tv.
4.
Ovviamente questa operazione è una formula
chimica molto instabile: basta che uno dei componenti sia inserito in dosi
sbagliate o non abbia la composizione prevista che tutto precipita. E’ accaduto
con l’incipit di Crozza nella prima serata (ma non poteva prendere un microfono
e scendere dal palco?) e con l’antico monologo da circolo Arci di Bisio nella
serata finale (eppure Bisio è un grande improvvisatore, ma la prima volta è
come entrare a dire messa grande in Duomo, evidentemente). Comunque, nella
somma generale delle serate questi momenti di impazzimento della formula sono
comodamente rientrati, anche grazie alla rabdomantica capacità di tenere il
palco dimostrata da Luciana Littizzetto.
5.
Se questa è una possibile prefigurazione della
Rai del futuro, fossi in quelli del Giornale
e di Libero non mi scalderei troppo.
A crisi finita (e prima o poi, almeno un po’ la situazione migliorerà) una Rai middlebrow, intelligente e un po’
educativa consegnerà praterie intere di telespettatori a chi saprà fornire
un’alternativa politicamente ed eroticamente scorretta.
ma perché su facebook si puo solo condividere e non cliccare mi piace da qui?
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