Donald Duck di Carl Barks. ©Disney |
Buona Pasqua. Oggi è il caso di riprendere la pur recente tradizione delle madeleine, così, visto il periodo pasquale. L'easter egg –appunto- è la vita di Carl Barks. Mentre il settimanale Topolino si appresta a festeggiare il numero 3000 (ne riparleremo tra un mesetto) mi sembra giusto ricordare l'anniversario della nascita di Barks (27 marzo 1901, ed è vissuto quasi 100 anni). Barks (che non è Disney e forse non è neanche tanto disneiano, odiava perfino il Natale) è stato l’autore di quei piccoli bildungsroman che hanno tanto inciso sulla formazione delle élites che oggi stanno mollando la presa in Europa (e che negli Stati Uniti l'hanno mollata da un po'). Mi riferisco alla generazione nata attorno agli anni sessanta.
Barks negli anni '50. |
La storia di Barks è molto americana. Carl disegnava vignette satiriche su un giornale e quando alla Disney cominciarono ad assumere gente perché si erano allargati lui riuscì a farsi assumere come intercalatore. L’inbetweener è (era) un lavoro ingrato: il capo animatore disegnava i fotogrammi corrispondenti ai movimenti principali dei personaggi, l'intercalatore doveva, seguendo lo stile, disegnare tutti i fotogrammi intermedi. Siccome Barks era uno simpatico e pieno di idee, negli anni fece un po’ di carriera e diventò sceneggiatore dei corti di Paperino. Ma stava arrivando la guerra, il clima alla Disney era cambiato, c'era stato il lungo sciopero, in più i nuovi uffici di Burbank avevano l'aria condizionata a palla e lui impazziva di sinusite. Barks era un tipo geniale ma non facile da prendere, sorridente ma intrattabile, si scocciava subito e ti mandava a quel paese. Aveva un po' il carattere di Paperino. Sfanculò due mogli, e le storie più divertenti le scrisse e disegnò in qualche infimo motel della California dopo aver mollato baracca e burattini. Dalla Disney si era licenziato nel 1943. Poi aveva tentato con l'allevamento di polli ma gli era andata male. Quando seppe che Disney aveva ceduto alla Western Printing la licenza per pubblicare degli albi mensili con i suoi personaggi si fece subito avanti. Niente più uffici gelati a Burbank, niente più orari, niente più regole. Prese una casa in campagna e cominciò a lavorare da San Jacinto. E così, senza che nessuno glielo chiedesse, nel corso degli anni inventò Paperon de' Paperoni, Amelia la fattucchiera che ammalia, la Banda Bassotti, Gastone Paperone e molti altri personaggi per i quali non vide mai un dollaro dalla Disney oltre il suo stipendio. Non sapeva neanche quanto vendessero i suoi albi.
Un giorno arrivò in paese e vide che la pila del suo Uncle Scrooge era quattro volte più alta di quelle degli altri fumetti. Tornò a casa che gli giravano. Un'altra volta lo invitarono a un party nella sede di Los Angeles e il caporedattore (finora l’aveva conosciuto solo per lettera) gli chiese come se la cavasse con il code. Quale codice, chiese Barks (che era anche mezzo sordo). Il codice delle cose che Paperino può fare e non può fare, gli rispose il caporedattore. E chi se ne frega, gli rispose Barks. Un'altra volta (me le raccontò un giorno nella sua casa di Temecula) la Western gli mandò delle lettere di protesta di mamme a cui non andava giù non so quale storia, e lui scrisse un letterina di risposta su richiesta dell'editore. La lettera non fu ma recapitata perché era, diciamo, abbastanza paperinica nella sua violenza.
La parte migliore della generazione dei baby boomers, in America e in Europa, si è formata su quelle letture. Anche in Italia, naturalmente. Se poi quella generazione ha fallito non si può farne una colpa a Carl. Lui, sulla vita, ci aveva avvertito. Era stato esplicito, bastava leggerlo. Non credete alle storie zuccherose. Credete pure nell'umanità, ma non troppo. Il mio papero non starnazza, parla. E non avete neanche idea di quante ne avrebbe da dire. Buon riposo, Carl Barks, e buona Pasqua.
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