lunedì 1 luglio 2013

I dieci giorni in cui chiusero la Rai

Il canale della tv pubblica greca dopo lo spegnimento del segnale.
[Ripropongo qui il pezzo uscito sul
Venerdì di Repubblica del 28 giugno.]
E se un giorno accadesse in Italia quello che è successo in Grecia, con la chiusura (perlomeno temporanea) dell’emittente televisiva pubblica? E’ solo fantapolitica?
La crisi economica, che ha portato a una contrazione a due cifre degli investimenti pubblicitari in televisione, mette i bilanci delle emittenti tv (pubbliche e private) in uno stato di sofferenza che mai avevano sperimentato. Per una realtà pubblica che aveva ridefinito la sua fisionomia, nello scorso ventennio, all’interno di un mercato in cui i soldi giravano, eccome se giravano, è uno shock economico e finanziario, ma anche culturale. La situazione italiana non è quella greca, i tagli sono stati fatti e hanno già inciso sulla carne viva dell’emittente pubblica, e si continueranno a fare. Ma se un giorno l’impensabile accadesse davvero? Proviamo a prevedere i dieci giorni successivi allo spegnimento di mamma Rai. 

Trasmetttori di Rai Way.
Il primo giorno i tripudi dei nemici "degli sprechi, dei contratti milionari, degli appalti, del nazional-popolare, delle fiction-canile e dei tg venduti ai partiti" sommergeranno qualunque discorso razionale. Anche perché, nel corso dei decenni, sprechi e orrori castali sono obiettivamente avvenuti. Forti del clima generale, editorialisti "liberali" si affretteranno a gioire per la fine dell'anomalia statalista di uno Stato che “finanzia le ballerine e i giochi a quiz”. Qualcuno evocherà le nequizie dei reality e gli orrori dei "matrimoni della Marini" trasmessi sui canali pubblici.

Il secondo giorno parleranno i sindacati. Spiegheranno –con un lamento sentito troppe volte- che le risorse interne Rai non erano state utilizzate al meglio perché era stato dato troppo spazio agli “appalti”. Nessuno si periterà di ricordare che il problema è più complesso: in Gran Bretagna la Bbc affida in toto a società esterne perfino la realizzazione di Question Time (la loro Tribuna politica). E nessuno informerà del fatto che il costo al minuto della programmazione Rai è tra i più bassi tra quelli di tutte le emittenti pubbliche europee, quindi i soldi sono andati da altre parti, non sui programmi, interni o esterni. (Per realizzare un’inchiesta come quelle di Report una tv pubblica tedesca, francese o britannica impiega il quadruplo di risorse). E insomma nessuno dirà che forse sarebbe stato il caso di battersi per migliorare la competitività e lo standard delle produzioni interne, per poterle vendere meglio all’estero, più che polemizzare contro i giochini dell’Endemol.
Manifestazioni ad Atene contro la chiusura della Ert.
Il terzo giorno interverranno gli economisti e gli esperti del settore, magari ospitati dai supplementi economici dei quotidiani. Si cominceranno a sentire discorsi meno banali e si metterà a riposo il populismo, e qualcuno ricorderà che la Rai aveva appena annunciato che, nell’attuale situazione di risorse e frequenze, non sarebbe passata in toto all'Hd prima dei prossimi 15 anni, e vai a vendere all’estero un programma in definizione standard quando nel mondo già si lavora sul 4K, termine incomprensibile col quale si definisce un fotogramma televisivo 20 volte più grande dell’attuale.

Qualche altro analista, parlando di risorse per fare le cose, noterà che tenere in vita 6 diverse testate giornalistiche (erano 9) per dare le stesse notizie è una scelta politica che appartiene ad un'altra era geologica, quella dei partiti spendaccioni. E che con quei soldi si sarebbe potuto realizzare un vero ammodernamento tecnologico della tv pubblica.

Il quarto giorno ci si comincerà ad accorgere che la vita senza Rai, e senza poter criticare la Rai, è più noiosa.
Montalbano, una delle poche
serie italiane diffuse nel mondo.
Il quinto giorno gli inserzionisti cominceranno a fare i conti. E a dividersi tra quelli che, spinti dai loro azionisti, decideranno di raddoppiare l'investimento su Mediaset e quelli che cominceranno a chiedersi se alla fine consegnarsi in toto a Cologno Monzese sia la scelta più lungimirante. A La 7 faranno i salti di gioia per gli ascolti finalmente a due cifre, ma alla fine della giornata il virtuale monopolio mentaniano dell’informazione comincerà ad affaticare anche i suoi più fedeli seguaci (e Mentana stesso).

Il sesto giorno il cinema italiano "finanziato con i soldi pubblici invece di misurarsi con il mercato, bla bla bla" chiuderà. Letteralmente. E si butterà via il bambino con l’acqua sporca (che era tanta, per carità). Senza tener presente che il modello hollywoodiano ormai produce solo succedanei dei videogiochi, e che negli Stati Uniti per trovare innovazione e creatività bisogna andare sulle serie tv e sul cinema finanziato dalle televisioni.

Il settimo giorno tutte le televisioni private decideranno che, tutto sommato, produrre programmi dalle sette di mattino all’una di notte è un investimento inutile, basta comperare dei telefilm.

L'ottavo giorno si comincerà a discutere del futuro.

Ci si comincerà a chiedere non tanto se 10.000 dipendenti Rai fossero troppi (la Bbc, anche dopo la cura da cavallo degli ultimi tempi, ne ha 17.000) ma se, negli anni, fossero stati utilizzati bene, selezionati meglio e formati adeguatamente alle nuove realtà editoriali e tecnologiche. E magari se fossero stati, nei decenni, motivati a sperimentare, rischiare e dare l'anima o invece depressi e frustrati dal carrierismo dei più ammanicati.

Poi qualcuno si chiederà se aver assimilato la Rai in toto ad Ente pubblico, come se chi costruisce un varietà potesse sottostare alle stesse regole di chi realizza un tratto di autostrada non sia stato un enorme regalo alla concorrenza privata.
Una slide della presentazione di Alberto Morello, del Centro Ricerche Rai
di Torino: senza il "second dividend" niente Hd.

Allora il carrozzone andava bene così? Qualcuno si chiederà se non avevano avuto ragione, tutto sommato, gli inglesi quando avevano costruito due aziende pubbliche televisive: una che fa servizio pubblico pagato dal canone (la Bbc) e una (Channel Four) che deve raccogliere soldi con la pubblicità e in cambio ha diritto di sperimentare, di sbagliare e anche di scandalizzare. Channel 4 ha trasmesso per anni Il grande fratello ma produce anche documentari di alta qualità e serie tv innovative (capolavori come Black Mirror e tutto il filone del cibo da Gordon Ramsey a Jamie Oliver, ad esempio); ha una veste grafica di altissima qualità, un linguaggio molto fresco, piace al pubblico giovane e fa lavorare i giovani. Per legge non produce niente in casa: ma i prodotti di Channel Four sono inequivocabilmente “di Channel Four”. Perché Channel Four è un bravo editore. E in questo modo ha fatto vivere un tessuto di piccole e medie società di produzione che sono fucine di idee e non di raccomandazioni. Sarebbe stato bello se a una rete Rai fossero stati affidati in questi anni i compiti di Channel Four.

Il nono giorno il Commissario Montalbano verrà prodotto da Sky.

E il decimo giorno?

Il decimo giorno qualcuno, su Youtube, rivedrà per caso un’edizione qualunque del Telegiornale Rai delle 13.30, anno 1968. Uno dei programmi di news più moderni al mondo, all'epoca. Ai lati di un grande schermo, per quei tempi avanzatissimo, sedevano, come anchorman, Andrea Barbato e Piero Angela. In collegamento c’erano Furio Colombo, Jas Gawronsky, Ruggero Orlando.

Allora non era così difficile fare buona tv. Anche in Italia. Magari ci si potrebbe riprovare. In fondo, c'è un unico motivo che rende ancora necessaria l'esistenza di una forte tv pubblica: elevare lo standard di tutto il sistema, costringere anche i privati a fare una tv migliore. Altrimenti, muoia Sansone con tutti i filistei.

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