mercoledì 31 ottobre 2012

Mamme, papà, fantagenitori e padri conigli


Timmy, i suoi genitori e la temibile baby-sitter Vicky (The Fairly OddParents, Nickelodeon).
[Avvertenza: questo post è riservato ai genitori].

Chiunque abbia figli dai 4 ai 10 anni è abituato a quotidiane discussioni sulla questione bambini e tv. Non mi sono mai piaciuti gli atteggiamenti apocalittici nell'affrontare il tema. Spesso si tratta di un modo per scaricare su un nemico esterno le tensioni familiari. Dal baby boom in poi esiste una sterminata letteratura, in cui cambiano gli imputati ma l’atto d’accusa è sempre lo stesso: “i nostri figli sono esposti ad un intrattenimento diseducativo da parte dei media”. 
E’ toccato, nel tempo, alla radio (anni ’30), ai fumetti (anni ’40-’50) e in seguito alla televisione (tuttora imputata, ma adesso in cooperativa con web e videogiochi). Paradossalmente – ma neanche tanto- le ire si rivolgono sempre verso i media tecnologicamente più “freschi”. Nessuno oggi si sognerebbe di polemizzare con il modo in cui la factory Disney raccontò la favola di Biancaneve 75 anni fa. Eppure all’epoca il film fu proibito in paesi come la Gran Bretagna, e non si contavano gli shock tra i bambini in età prescolare causati dalla scena (bellissima) della fuga nel bosco. In una celebre raccolta di saggi pubblicata negli anni sessanta, The Funnies, An American Idiom (a cura di David Manning White e Robert H. Abel, Free Press of Glencoe, 1963) un capitolo era intitolato, sagacemente “I bambini fanno male ai fumetti?”, invertendo così l’onere della prova.
Papà Richard ne Lo straordinario mondo di Gumball.
Quindi nessun problema? No, sarebbe troppo semplice. La differenza tra i dibattiti più o meno isterici che si svilupparono nel secolo scorso e quelli odierni non sta nei media in sé ma nell’altro lato del problema, e cioè la famiglia. Non occorre snocciolare statistiche per sapere che oggi il nucleo familiare molto spesso va in crisi quando ancora i figli sono in età prescolare. Ma la televisione come parcheggio non custodito, senza possibilità di dialettizzarne i contenuti con uno o entrambi i genitori diventa un medium sostanzialmente diverso. Il rapporto tra il programma tv e il bambino spesso non è più mediato da presenze parentali, come dicono gli educatori nel loro inquietante slang.
Cosa succede, allora? Succede che i principali produttori americani di serie animate per bambini  (Cartoon Network e Nickelodeon) si adeguino rappresentando, quasi introiettando nei soggetti delle nuove serie, come modello di riferimento, la famiglia in crisi. Operazione legittima, in alcuni casi perfino utile. Ma quel modello ha come precondizione, per rappresentarsi come normale, l’alleggerimento delle imago parentali idealizzate. Con tutti i rischi di frustrazioni e di conseguenti “disordini narcisistici del carattere” del bambino, come diceva Kohut. E la vedo dura anche per il principio di autorità.
In parole povere: papà e mamma litigano perché sono un po’ scemi, comunque dobbiamo voler loro bene. 
I fantagenitori Cosmo e Wanda salvano Timmy.
Ed ecco il moltiplicarsi di serie (anche di ottima scrittura, piene di ironia), al cui centro è lo stereotipo del bumbling father, o dei bumbling parents. Per bumbling gli americani intendono maldestro, imbranato. Lo schema classico è: padre maldestro e pasticcione/bambinone/perdente, mamma capofamiglia e detentrice delle regole. La sottospecie è peggio: genitori entrambi maldestri ed egoriferiti, con la necessità di figure parentali sostitutive e di elementi normativi esterni. E’ il caso, appunto, di Due fantagenitori (The Fairly OddParents, creato undici anni fa da Butch Hartman per Nickelodeon). 
Si dirà: ma già i Simpson, più di vent’anni fa avevano proposto un bumbling father (Homer, naturalmente). Però i Simpson sono considerati, nei palinsesti americani, una sitcom destinata alla famiglia e non ad un pubblico eminentemente infantile. E poi nel plot standard di un episodio dei Simpson la crisi viene risolta all’interno della dialettica familiare (con i due elementi normativi, madre e figlia maggiore, che risolvono la situazione). E il personaggio di Homer (anche se non troppo lontano da una realtà sociale palpabile in qualunque città americana) è raccontato con una forte accentuazione dei suoi caratteri grotteschi, di straordinarietà. Cioè Homer non è tuo padre, è Homer. (Anche se magari tuo pare gli somiglia).
Nelle serie prodotte oggi dai canali per bambini le cose sono molto diverse. Il ruolo idealizzato dei genitori viene sostanzialmente messo in discussione. Probabilmente perché, almeno negli Stati Uniti, la famiglia alla Simpson è già un’eccezione positiva. Non mi riferisco solo a The Fairly Oddparens (in cui non si può non notare qua e là un certo cinismo dell’autore).

La famiglia Watterson quasi al completo, con papà Richard, Gumball, Darwin e mamma Nicole
(Cartoon Network).
In una serie di grande eleganza visiva e anche narrativa, Gumball (The Amazing World of Gumball, creato l'anno scorso da Ben Bocquelet per Cartoon Network), il padre è un coniglio rosa –vigliacco e deresponsabilizzato quanto può esserlo un coniglio- e i due figli sono uno un gatto (Gumball) e l’altro un pesce con le gambe (Darwin), in un sobborgo di freaks (dinosauri, ecc.) che rappresenta lo spaesamento della multiculturalità.
Che dire? Si tratta i prodotti non banali, che andrebbero però visti, almeno all’inizio, in compagnia dei figli, e in dosi controllate: per fornire una chiave di lettura non ansiogena e per modulare con i figli il concetto di “normalità” familiare che tendono ad affermare.

Quelle serie tendono a rassicurare un pubblico infantile che vive già in un universo in cui la famiglia tradizionale si è dissolta. Il messaggio è molto simile a quello che la realtà forniva ai figli delle famiglie distrutte in tempo di guerra: devi cavartela da solo, imparare dalla vita, essere tu la fonte ultima del principio di autorità. Spaventoso? Neanche tanto, visto che spesso è così. Ma almeno sappiamolo.
Poi potremo anche gradire i giochi linguistici e le raffinate citazioni presenti in queste serie. 
Anche perché, mentre i canali americani mandano questi cartoon ad intervalli precisi, sul nostro digitale terrestre serie come Due Fantagenitori vanno in onda quasi “a rullo”, con la possibilità che lo stesso bambino le veda anche quattro volte nello stesso giorno. E cioè per un tempo molto superiore a quello che, nell’arco della giornata, un genitore potrà dedicare alla visione dei canali cartoon assieme ai figli.

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