giovedì 5 dicembre 2013

Mission e Drive In: chi è l'ipocrita?

Il miliziano di Robert Capa (Life).
Per uno scherzo del destino (o dei palinsesti tv, che è lo stesso) sono andati in onda nello stesso giorno, su Raiuno e su Canale 5, due programmi che hanno dato molto da fare all'ipocrisia nazionale.
Su Raiuno è andato in onda Mission, un'idea non banale subissata da una inenarrabile campagna di accuse, distinguo, minacce di finire sulla graticola, da parte di un plotone che aveva al centro i 5Stelle e ai lati, moralisti un tanto al chilo e, probabilmente, organizzazioni umanitarie "concorrenti".
Al Bano in Mission (RaiUno).

Immagino che la pressione convergente di tutta l'ipocrisia nazionale - che quando si tratta di tv è presente a ranghi compatti- abbia convinto i realizzatori del programma ad espungere qualunque concessione alla metrica televisiva: nella narrazione, nelle immagini, perfino nelle musiche. Ma la domanda è: sarà giusto chiedere alla tv di non utilizzare la propria retorica per raccontare una storia, un problema, un mondo? Chiedereste al Corriere della sera o alla Repubblica di impaginare la prima pagina come l'Osservatore Romano se ospitano un'intervista al Papa? O di non scegliere le foto giuste per proporre un contenuto che non può non avere un aspetto emozionale? Perché la tv deve sempre pagare prezzi che agli altri mezzi non vengono richiesti? Seguendo questa logica neanche il miliziano di Robert Capa avrebbe avuto cittadinanza in tv.
Epoca su Drive In, con un intervento di
Umberto Eco (1985).
E veniamo all'altra faccia della medaglia, il documentario sui 30 anni di Drive In curato da Luca Martera (anche se dietro mi pare di vedere la manina, mi sbaglierò, dello stesso Antonio Ricci). Il doc di Martera è fondamentale per capire, soprattutto nella prima parte e soprattutto per chi non c'era o non era nato, cosa fosse Drive In. [Per due anni ho lavorato a Drive In come delegato di produzione e quindi ero lì, prendete queste considerazioni con beneficio d'inventario].
L'idea di indicare in Drive In la summa dell'ideologia berlusconiana è un po' ridicola e superficiale: mi ritrovo totalmente nella risposta che al quesito specifico ha dato Carlo Freccero.
La tv che aveva in mente Berlusconi non era Drive In, era una Raiuno con più lustrini e più detersivi. L'aria che si respirava a Drive In era di tutt'altro genere. E non solo perché dietro la scrivania di Ricci troneggiasse un grande ritratto di Palmiro Togliatti. Quella poteva essere una civetteria di pura marca riccesca. Ma perché il gruppo di lavoro (compresi Staino, Ellekappa, Disegni e Caviglia ecc., per non parlare dei testi satirici scritti da Vaime per Gianfranco D'Angelo) era totalmente estraneo a quel mondo. Per essere onesti, la tattica di Ricci era furbacchiona: alludere, sfottere, lanciare il sasso e nascondere la mano. E delegare la mise en scène a un reparto con cui non veniva quasi a interagire: la regia. Ricci non usciva dal suo ufficio. Gli autori scrivevano tutto, un copione completo di ogni virgola. Beppe Recchia doveva metterlo in scena.
Antonio Ricci.
Le fast food poppute erano un gioco sul filo dell'ambiguità, che Recchia interpretava secondo lo stile di casa e che Ricci, invece, infarciva di sottotesti ironici, totalmente collidenti con quel milieu. Che, ai tempi, era davvero prevalente. Ricci insiste fino alla noia (è diventata quasi una fissazione) sul fatto che le copertine dell'Espresso e del Panorama ancora non berlusconizzato dell'epoca fossero piene di donne nude (ed è vero, sui voli transcontinentali i due settimanali italiani erano spariti dalla mazzetta delle letture offerte ai viaggiatori). Ma anche la tv pubblica era molto libera: ricordo un incredibile Speciale del TG1 su Cicciolina, un'intervista total naked che durava quanto un'inchiesta sui cassintegrati di oggi. Ma non è questo il punto, e secondo me Ricci esagera un po' con questa reiterata autodifesa e con lo zelo con cui esibisce citazioni "di sinistra". Il punto è che le cose prendono un significato a seconda di come finisce la storia. Troppo facile indicare Drive In (il dito) al posto della società italiana (la luna). Uno dei peggiori lasciti del ventennio berlusconiano è quello di averci consegnato ad un neo-puritanesimo ipocrita, soi-disant politically correct, che pretende di convincerci che la pruderie sia di sinistra.
A proposito: l'unica cosa che Ricci non ha fatto raccontare a Martera nel suo rapporto della difesa è un episodio che avvenne dopo la chiusura di Matrioska, nata da una costola di Drive In. Come racconta il documentario, in seguito alla registrazione a sfottò del coro di Comunione e liberazione (che non andò mai in onda) il programma, visionato da Roberto Giovalli e poi portato ad Arcore, fu bloccato. Cosa avvenne dopo? A Ricci fu ritirato il pass e gli fu fisicamente impedito di entrare in studio (era uno studio esterno, lo Studio One, alla periferia di MIlano). La vigilanza ebbe l'ordine di non farlo entrare. Ma Ricci tenne duro e vinse. Il programma ripartì con un altro titolo, Araba fenice. Un titolo che solo l'ex vicepreside Professor Ricci avrebbe potuto inventare.
La colpa di Antonio Ricci non è Drive In: la colpa di Ricci è di non aver tentato strade nuove negli ultimi dieci anni.







3 commenti:

  1. "La tv che aveva in mente Berlusconi non era Drive In, era una Raiuno con più lustrini e più detersivi." Vero, anzi direi di più: Berlusconi mirava a fare una tv concorrente a quella di stato facendo le stesse cose, ma con maggior dispiegamento di mezzi. Da qui l'assunzione a suon di miliardi delle star Rai, da Pippo Baudo a Raffaella Carrà. Mi viene in mente che a un certo punto mise in piedi addirittura una specie di Tribuna Politica.

    Antonio

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  2. Altro post di cui condivido praticamente tutto. Sono del '74 quindi ricordo molto bene sia Drive in, sia le copertine dei vari settimanali, sia "Il cappello sulle ventitreè" e ho visto "Il comune senso del pudore." A volte l'autodifesa di Ricci barcolla un po', ma è tipico di una certa sinistra perbenista e moralista dare la colpa di tutto al berlusconismo.

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  3. Leggo con colpevole ritardo e aggiungo un dato: le donne di Drive In erano tutte di decorazione. L'unica comica di cui si ha memoria era quella che faceva la professoressa e menava sganassoni sul coppino a Molinari (e faceva la donna brutta, ché se fosse stata bella l'avrebbero messa a far decorazione). Tutte le altre figure femminili non decorative erano uomini: Gianfranco D'Angelo che faceva Sandra Milo o Raffaella Carrà, Faletti che faceva Suor Daliso (peraltro una delle mie cose preferite).
    Con tutte le dietrologie che si possono fare sull'argomento, una cosa era inequivocabile: a Ricci le donne interessavano, ora come allora, solo se erano bone. E noi che allora eravamo bambine, poi adolescenti, siamo cresciute con questa idea: che il nostro compito fosse quello, decorare, e se non decoravi eri inutile. Anche per colpa di Drive In.

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