lunedì 25 giugno 2012

Gli Europei e la tradizione Rai



Con Italia-Inghilterra Raiuno ha superato l’80% di share. Nel frattempo, ho letto vari articoli, post e messaggi critici nei confronti del modo in cui Rai Sport sta gestendo gli Europei. Non sono un esperto di calcio, seguo la Nazionale e poco altro, quindi non sono in grado di giudicare la qualità delle telecronache o dei commenti. (Peraltro, immagino che anche i giornalisti sportivi debbano confrontarsi con un sacco di problemi legati alla situazione generale della Rai e ai suoi tagli di budget).
Però vedendo ad esempio Italia-Inghilterra con annessi e connessi (pre-partita ecc.) qualche idea me la sono fatta.
Proviamo a partire da lontano. Ho un vaghissimo ricordo infantile. Nei lontani anni sessanta del secolo scorso, Indro Montanelli pubblicò un articolo polemico contro il modo ingessato e governativo in cui la Rai trattava l'informazione politica (Montanelli scriveva sul Corriere, che in quando a ingessatura filo-governativa non aveva uguali, a quei tempi). Sul finire del pezzo però Montanelli citò un esempio au contraire: il Processo alla tappa che Sergio Zavoli conduceva durante il Giro d'Italia. Se la Rai trattasse la politica come tratta lo sport, concludeva più o meno Montanelli, l'informazione sarebbe molto migliore.
Sergio Zavoli nel Processo alla tappa (1969)
Al di là delle singole eccellenze (Zavoli ovviamente era una di queste) nel commento di Montanelli c'era molto di vero. E non solo perché Zavoli riusciva a fare di ogni tappa una tragedia greca, o perché si portava in macchina un pesantissimo registratore Ampex portatile. E' chiaro che per la Rai di Ettore Bernabei era molto più facile essere swingin' sullo sport che sulla politica, che era (è) la padrona della tv di Stato. Ma c'era qualcosa di più.
A quei tempi, la redazione sportiva della Rai rappresentava la tradizione "tecnicamente" più avanzata dell'emittente di Stato. Il suo ceppo arrivava direttamente dall'Eiar del periodo fascista, di cui, per vari e in parte ovvii motivi, era la punta giornalistica, editoriale e produttiva. Vittorio Veltroni e Nicolò Carosio venivano dall'Eiar; Mario Ferretti, personaggio incredibile che meriterebbe almeno una fiction all'italiana, era stato un radiocronista di punta dell'Eiar, poi durante la guerra se n'era andato con i repubblichini e in seguito era stato, con fatica, recuperato da Veltroni. Zavoli (che all'epoca della radio fascista era un bambino) fu preso a benvolere e negli anni ’50 cooptato da Veltroni che ne aveva intuito le doti.
Paola Ferrari.
La "redazione radiocronache" dell'Eiar (poi travasata nella Rai del dopoguerra) si occupava dello sport e anche della politica (perfino - brrr- della visita di Hitler in Italia), utilizzava le tecnologie migliori disponibili al tempo (registrazioni su disco, e infine su nastro magnetico) e aveva studiato la lezione del documentario radiofonico tedesco di Walter Ruttmann. Ci aveva aggiunto un po' di prosa pascoliana e dannunziana, che piaceva tanto alla subcultura fascista, e che era diventata tratto distintivo dei dirimpettai dell'Istituto Luce. Stentorea e virilista quando si occupava di politica, quando raccontava lo sport sapeva virare sul lirismo liceale che tanto piaceva agli italiani (il famoso incipit di Mario Ferretti nella sua radiocronaca dell'exploit ciclistico di Coppi nel Giro del ‘49, "un uomo solo al comando: la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi". Colpi da maestro che oggi farebbero felice qualunque copywriter). Da quel ceppo era nato anche il varietà radiofonico (i Quattro moschettieri di Nizza e Morbelli) che poi sarebbe diventato lo stampino per il futuro varietà televisivo all'italiana. Insomma, comunque te la giri, era gente con le palle.
Vittorio Veltroni, Lidia Pasqualini e Nicolo Carosio (1939).
Di quella tradizione (che a suo modo era una tradizione di modernità, sia all'Eiar che nella Rai proto-televisiva del dopoguerra), cos'è rimasto? A occhio e croce, soprattutto un saldo insediamento della destra nei posti chiave e nelle redazioni. E poi un po' di prosopopea retorica (bastava vedere ieri sera la scheda sulla Nazionale del passato, tra l'altro tutta montata con figurine scaricate da internet). Si è perso un po' il resto. Basta vedere lo studio dei pre-partita, affidato a Paola Ferrari, con una scenografia (immagino anche per problemi di costi) fatta con quattro legnetti come quella di una dignitosa tv locale. Poco uso della tecnologia, poca grafica, impianto molto tradizionale, linguaggio televisivo antico. Nel frattempo però, gli italiani fanno ogni giorno un confronto con Sky e il suo stile di copertura dello sport. Che non è particolarmente originale: soltanto, è del ventunesimo secolo. Basta guardare qualunque tv straniera per accorgersene. La Rai di oggi non lo saprebbe fare? Probabilmente, anzi sicuramente sì (basta vedere l'altissima qualità dell'HD Rai) ma è un discorso di mezzi e di cultura televisiva. Di manico, insomma.

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