Life in a Glass House, il nuovo format Disney/ABC che sta facendo litigare le tv americane. |
Enrico Menduni ha scritto un libriccino (nel senso che conta
solo 72 pagine, ma è in tutto e per tutto un saggio) sul rapporto tra cinema e
televisione (La grande accusata. La televisione nei romanzi e nel cinema. Archetipo Libri, 2012). Mi è piaciuto molto: perché sostiene molte cose che penso anch'io
ma soprattutto perché Enrico quando scrive non riesce a dominare la sua
onnivora curiosità, che lo costringe spesso a inattese e non stringenti
divagazioni. Ecco, in quelle divagazioni che escono dal seminato, rompendo
talvolta la nitida struttura accademica del suo saggio c'è secondo me la parte
più stimolante del libro.
Enrico Menduni. |
Per tornare a bomba: mentre a Cannes premiavano Reality
(che non ho ancora visto, quindi non ho elementi di giudizio) Menduni ci
ricorda che il cinema si è occupato fin dall'inizio della televisione, raccontandola
molto spesso come una via di mezzo tra il citofono e uno strumento di occhiuto
controllo sociale. A parte ogni altra considerazione che vi verrà in mente (la
tv spossessa gli intellettuali tradizionali, ecc.; val più un minuto in
televisione di dieci libri scritti ecc. ecc.) Menduni ricorda un altro elemento
fondamentale: figlia della radio (e quasi sorella, perché se ne cominciò a
parlare già agli albori delle onde hertziane) la televisione paga gli anni
durissimi in cui la radiofonia esplose nel mondo, anni che corrisposero alla
nascita dei grandi totalitarismi del Novecento. Gli intellettuali che
fuggivano dall'Europa si ritrovavano in America la radio delle soap operas,
e questo ai francofortesi come Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno,
come sappiamo, non è proprio andato giù (ma come, me ne vado dalla Germania
nazista dove per poco non mi mandano in galera e arrivo qua per scoprire che
gli intellettuali non contano più un piffero a causa di quel fastidioso
altoparlante in mano ai produttori di saponette, non c'è neanche la tragicità
del cataclisma europeo).
Menduni ricorda anche un passo del Mondo nuovo di
Huxley, libro ormai caduto nel dimenticatoio, in cui il regime aveva inventato
la casa di vetro, dove eri esposto tutto il giorno allo sguardo dei vicini.
Verrebbe da dire, tanto per essere banali, come in un reality, poi al cronista
di media viene a mente che da poco la Disney/ABC ha lanciato in America un
format che si chiama appunto Casa di vetro (Life in a Glass House). E
che per questo, da quanto ho capito, ha ricevuto una denuncia dall'Endemol e da
CBS per plagio. Bisognerebbe avvisarli che i "nemici intellettuali"
della tv avevano pensato ai reality molto prima di loro.
Lo prendo di sicuro.
RispondiEliminaEnrico ringrazia.... troppo onore. E aggiunge che nell'era della telecamera miniaturizzata non c'è più bisogno del vetro come materiale trasparente. La telecamera entra dentro e trasmette fuori, buca i muri più spessi. Così fa la webcam. L'idea della casa di vetro rimane, ed è fortissima, come metafora della vita privata spiattellata davanti a tutto nella reality television, in una miscela alternata di esibizionismo e di voyeurismo.... ma anche delle opacità della vita pubblica e di ogni tipo di potere e di violenza, messe a nudo dall'inchiesta televisiva, o crossmediale. Bisognerebbe fare una televisione che non si dimentica di queste cose, forse c'è questo spazio. Auguriamolo a tutti noi.
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