venerdì 2 novembre 2012

Madeleine: George Lucas e il genio di Carl Barks



Una vignetta da Back to Klondike, una delle più celebri (e censurate) storie
di Carl Barks (1953).
Siamo a metà di un lungo ponte, e così, invece di ammorbarvi con riflessioni su programmi televisivi, social network e novità tecnologiche ho pensato di proporvi un’ennesima madeleine. Il fatto che George Lucas abbia venduto alla Disney tutti i diritti sulla sua franchise mi ha fatto ricordare una lunga storia, che ha al centro Carl Barks, uno dei più grandi narratori del secolo scorso, l’inventore di Paperone, di Gastone, della Banda Bassotti e del Paperino dei fumetti come lo conosciamo oggi. Lucas ha ammesso più volte di avere avuto Barks, disneyano sui generis, come grande ispiratore. 
Ho ritrovato una mia intervista di trent'anni fa, quando Barks viveva ancora in California. Barks è morto quasi a cent'anni, nel 2000, ed essere riuscito ad incontrarlo per due volte è una delle grandi soddisfazioni della mia vita. L’intervista è stata pubblicata su Métal Hurlant, nel numero di ottobre del 1982. (Ero un ragazzino, eh).

Temecula (Califomia), agosto —
Al Colony Kitchen di Temecula servono una bistecca alta due dita con una montagna di patatine fritte. "Mangia qualcosa li, che poi noi ti veniamo a prendere — mi dice Gare Barks per telefono — la strada per Ranch California e un po' lunga e ti potresti perdere". Eccoli che arrivano, Carl Barks e la moglie, li intravedo dalla vetrata della cafeteria. Barks è alto, imponente quasi, capelli e baffi bianchi, occhiali, auricolare all'orecchio sinistro.

Carl Barks (1901-2000).
E un po' sordo, spiega Gare. Per questo non vuole girare molto, lo invitano continuamente a convegni e rassegne ma lui si scoccia perché quando c'é molta genie fa fatica a seguire.   Non è stato così difficile trovare Temecula. Arrivando da Los Angeles basta prendere l'autostrada per San Diego e girare a destra dopo il casello. Peccato soltanto che fiaccia un caldo bestiale. "Segui la nostra macchina". Barks guida allegramente tra le buche della strada polverosa. Ha una bella casa, Carl Barks. Una villetta nuovissima dai colori pastello, linda e pinta, circondata da altre venti o trenta villette simili (ma non uguali), ai due lati di una strada candida e larga, e rigorosamente privata. E’ contento di questa casa, Carl Barks. L’ha comprata cinque anni fa, quando ormai aveva vinto la sua lunga partita con la Walt Disney. Quando il suo nome ha cominciato a girare per il mondo e l’anonimo pensionato si è trasformato a suo modo in una celebrità. E’ loquace, Carl Barks? Abbastanza. E soddisfatto, Carl Barks? Sembra di si. Oddio, non si è mai sottovalutato, quando disegnava le sue cinquecento storie firmate Walt Disney. Sapeva benissimo di essere il migliore. Lui e Donald (Duck) hanno atteso pazienti la riscossa. E l'hanno ottenuta. Ecco qua due volumoni da duecento dollari, con l'imprimatur della Disney. Uno si intitola "The Fine Art of Donald Duck"e l’altro "Uncle Scrooge". "Vedi? —mi fa la moglie — Sono firmati Carl Barks". Sono quadri a olio e vecchie storie, ristampate con l'attenzione dei filologi. E nell'articolo di presentazione George Lucas ammette che per i Predatori dell’arca perduta ha rubato la favolosa atmosfera di avventura alle storie di Barks. D'altronde, spiega, "i cartoon della Warner mi facevano ridere, quelli Disney mi facevano sognare".

Uncle Scrooge pensa al suo primo amore, Glittering Goldie
(Doretta Doremì). E' una vignetta da Back to Klondike, 1953.
Ed ecco una biografia di Carl Barks scritta dal suo fedele cultore Mike Barrier, uno che insegna legge all'università ma brucerebbe tutti i suoi libri per una notte con Amelia, la fattucchiera che ammalia. E questo è il fattorino con la posta del giorno: aficionados giapponesi inviano meticolosamente domande in inglese, la Surkhampf Verlag spedisce qualche libbra di Donald Duck tedeschi, "per conoscenza".
 Non sembra molto preso dalla posta, Carl Barks. Per gli italiani invece ha un’attenzione particolare. "Mario Gentilini è stato uno dei primi a scoprirmi", racconta. E mostra l’album con le foto di gruppo scattate a Burbank, agli studios. Sembra il diario di Paperina. Invece "questo sono io, questa è Gare, questo è Gentilini, questo é un altro italiano, Sanotto". 
Il numero di Métal Hurlant
dell'ottobre 1982,  in cui fu
pubblicata l'intervista.
Non sarà Piero Zanotto? "Ah, si si, Zanotto. La foto, boh, sarà del '68, vero Gare? Sai, sono stati editori come Gentilini a insistere con la Disney per poter ripubblicare le mie storie rivelando il mio nome. Alla Disney non erano entusiasti dell’idea. Poi hanno visto che poteva essere un affare anche per loro".A Burbank, racconta Barks, sono cambiate molte teste. "Adesso ci sono dei nuovi ragazzi, con idee nuove". Ma qual è il rapporto di Barks con la Disney? L'impressione è che non sia mai stato un idillio. Neanche ora. "Ne1'71 mi diedero il permesso di dipingere dei quadri a olio con i personaggi di loro proprietà".
Il permesso è durato cinque anni, e un quadro di Duckburg (Paperopoli),venduto nel '73 per duecento dollari è state aggiudicato a un'asta, due anni fa, per quarantaduemila. Sono arrivati molti soldi, anche per Barks. Poi la Disney ha revocato il permesso. E adesso lui dipinge ancora qualche papero, "ma non sono paperi Disney, sono paperi Barks", spiega Gare ridendo. Le papere, soprattutto, sembrano pin-up di Vargas, labbra tumide sulla punta del becco e curve vertiginose. Gli sono sempre piaciute le donne, a Barks. Non è mai stato un tipo molto disciplinato. Piuttosto uno splendido individualista, di quelli gustosi e intelligenti. E alla Disney gli individualisti non sono mai andati molto a genio. “Quando è passato a disegnare paperi per i comic books, nel '42, come collaboratore esterno, quali erano i suoi rapporti con la proprietà?” 
Carl Barks,  Burne Hogarth (il disegnatore di Tarzan) e Gare Barks.
"A Burbank ci andavo pochissimo.Me ne stavo così bene nella mia casa di San Jacinto". E non c'era qualche discussione, qualche censura? "Oh, sì, spesse volte mi facevano saltare qualche tavola che non gli andava a genio, o mi chiedevano di riscrivere la conclusione di una storia. Come questa qui, della regina del Klondike, non so se la conosci.
Per questo volume di ristampe mi hanno chiesto di ridisegnare le tavole censurate, a memoria perché dio solo sa dove sono finiti i disegni originali. Beh, ho potuto fare solo le matite, non ho più la mano abbastanza ferma per mettere le chine”. Ma c’era un codice a cui bisognava attenersi, una serie di regole "politico-morali"? "Oh sì, c'era, sarà anche cambiato due o tre volte. Io comunque non ne ho saputo nulla per otto o nove anni. Poi un giorno, improvvisamente, era il party di Natale negli uffici della Disney, qualcuno si mette a discutere del codice. Allora io gli dico: ma di che codice stai parlando? E la segretaria fa: ma come, Barks, la lista delle cose che Donald può fare e non può fare. Ha ha! Io non ne avevo mai sentito parlare".
E poi? "E poi mi ricordo che si incazzavano quando infilavo degli esseri umani in una storia di paperi. Ma per me era naturale, perché per me anche Donald era un essere umano, e quindi non ci facevo caso. E i direttori a dirmi: no, no! In queste storie ci devono essere soltanto degli animali buffi che incontrano altri animali buffi! Ma a me non piacevano le caratterizzazioni appena abbozzate, le macchiette che agiscono in base a stimoli meccanici, uno è sempre allegro, un altro è sempre avaro, un altro è sempre scemo. A me piaceva raffigurare quei paperi come degli individui pensanti. Solo così ci provavo gusto”.

(Intervista registrata a Temecula, California, nel luglio 1982. ©Disney per le illustrazioni)

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