venerdì 13 settembre 2013

Omaggio a Ray Dolby, che cambiò le nostre vite



Ray Dolby.
Ieri è morto Ray Dolby e mi sembra giusto ricordarlo. Perché dalle nostre parti sembra sempre che la tv l’abbiano fatta i commediografi, i giornalisti, i politici, i registi e non anche gli ingegneri. Invece no: la tv l’hanno fatta essenzialmente gli ingegneri. Come Nipkow, Rosing, Baird, Farnsworth, Zworykin, ma anche Alessandro Banfi e tutti gli ingegneri torinesi che costruirono la Rai.
Il Kinescope in azione.
Dolby lavorava alla Ampex, una società californiana fondata nel 1944 da un ingegnere russo, Alex Poniatoff.  Bing Crosby, che all’epoca era la più grande star della radio, dopo  essersi battuto perché venisse realizzato un “magnetofono” americano (il registratore audio a nastro l’avevano inventato i tedeschi e gli americani l’avevano scoperto nel corso della guerra) cominciò a battagliare perché venisse sviluppata una tecnologia per registrare anche il video. All’epoca i programmi televisivi venivano conservati con un sistema rudimentale, il Kinescope, o film recorder (che in Italia venne tradotto con un elegante neologismo latinista, vidigrafo).

Uno dei primi Ampex.
Il vidigrafo consisteva in pratica in una cinepresa a 16mm puntata su un televisore. Tutti i programmi che la Rai ha conservato fino a metà degli sessanta (e molti anche successivi) sono registrati su pellicola via vidigrafo. Ma a Crosby questa tecnologia non bastava. I suoi programmi tv dovevano essere spediti subito da una costa all’altra alle varie emittenti senza perdere di qualità e solo una registrazione magnetica poteva partire subito per l’altra costa senza aspettare i tempi di stampa della pellicola. Così un team di giovanissimi ingegneri (tra cui, preminente, un genietto diciannovenne come Ray Dolby) svilupparono la soluzione: per magnetizzare su un nastro tutta l’informazione necessaria a generare un singolo fotogramma televisivo (enormemente maggiore di quella necessaria a memorizzare un suono) trovarono la soluzione della scansione elicoidale. In pratica, le testine non stavano ferme mentre il nastro (con dentro l’ossido di ferro da magnetizzare) scorreva da una bobina all’altra: giravano anche loro perpendicolarmente (in seguito trasversalmente) al nastro. Così lo spazio fisico per memorizzare l’immagine nell’unità di tempo si moltiplicava. L'Ampex Quadruplex arrivò alla Fiera del NATPE nel 1956, e in Italia un po’ più tardi.
La scansione sul nastro.
Una singola bobina da un'ora, grossa due pollici, era enorme e costava come un mese di stipendio di un tecnico, ed è questa la ragione per cui tanti programmi tv di quell’epoca non sono stati conservati.
Ricordo i primi Ampex della Rai, visti da bambino: erano grandi come un frigorifero e attorno a loro si muovevano silenziosamente ingegneri sempre in camice bianco.
Poi Dolby si mise in proprio e inventò vari sistemi analogici di riduzione del rumore di fondo. Il sistema ottico di incisione del suono (la traccia a lato del fotogramma nella pellicole dei film) produceva un soffio costante.
Ray Dolby e i suoi colleghi attorno al primo Ampex Quadruplex.
Il nastro magnetico soffriva di un problema simile. Dolby pensò di farlo sparire, o perlomeno ridurre, accentuando in registrazione il livello dei suoni deboli per poi comprimerli in fase di ascolto: rendendo così meno udibile il rumore di fondo. Poi proseguì con le sue invenzioni e i Dolby Laboratories, da lui fondati, svilupparono tecnologie per comprimere il suono multicanale, in sala e anche in casa, per l’home video e per le registrazioni digitali. Dolby ebbe la sagacia di chiedere royalties per ogni apparecchio che utilizzasse le sue tecnologie, e così divenne ricchissimo. Che bella storia americana, eh?

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