domenica 31 marzo 2013

Madeleine: Buona Pasqua a Carl Barks


Donald Duck di Carl Barks. ©Disney

Buona Pasqua. Oggi è il caso di riprendere la pur recente tradizione delle madeleine, così, visto il periodo pasquale. L'easter egg –appunto- è la vita di Carl Barks. Mentre il settimanale Topolino si appresta a festeggiare il numero 3000 (ne riparleremo tra un mesetto) mi sembra giusto ricordare l'anniversario della nascita di Barks (27 marzo 1901, ed è vissuto quasi 100 anni). Barks (che non è Disney e forse non è neanche tanto disneiano, odiava perfino il Natale) è stato l’autore di quei piccoli bildungsroman che hanno tanto inciso sulla formazione delle élites che oggi stanno mollando la presa in Europa (e che negli Stati Uniti l'hanno mollata da un po'). Mi riferisco alla generazione nata attorno agli anni sessanta. 
Barks negli anni '50.
La storia di Barks è molto americana. Carl disegnava vignette satiriche su un giornale e quando alla Disney cominciarono ad assumere gente perché si erano allargati lui riuscì a farsi assumere come intercalatore. L’inbetweener è (era) un lavoro ingrato: il capo animatore disegnava i fotogrammi corrispondenti ai movimenti principali dei personaggi, l'intercalatore doveva, seguendo lo stile, disegnare tutti i fotogrammi intermedi. Siccome Barks era uno simpatico e pieno di idee, negli anni fece un po’ di carriera e diventò sceneggiatore dei corti di Paperino. Ma stava arrivando la guerra, il clima alla Disney era cambiato, c'era stato il lungo sciopero, in più i nuovi uffici di Burbank avevano l'aria condizionata a palla e lui impazziva di sinusite. Barks era un tipo geniale ma non facile da prendere, sorridente ma intrattabile, si scocciava subito e ti mandava a quel paese. Aveva un po' il carattere di Paperino. Sfanculò due mogli, e le storie più divertenti le scrisse e disegnò in qualche infimo motel della California dopo aver mollato baracca e burattini. Dalla Disney si era licenziato nel 1943. Poi aveva tentato con l'allevamento di polli ma gli era andata male. Quando seppe che Disney aveva ceduto alla Western Printing la licenza per pubblicare degli albi mensili con i suoi personaggi si fece subito avanti. Niente più uffici gelati a Burbank, niente più orari, niente più regole. Prese una casa in campagna e cominciò a lavorare da San Jacinto. E così, senza che nessuno glielo chiedesse, nel corso degli anni inventò Paperon de' Paperoni, Amelia la fattucchiera che ammalia, la Banda Bassotti, Gastone Paperone e molti altri personaggi per i quali non vide mai un dollaro dalla Disney oltre il suo stipendio. Non sapeva neanche quanto vendessero i suoi albi. 
Un giorno arrivò in paese e vide che la pila del suo Uncle Scrooge era quattro volte più alta di quelle degli altri fumetti. Tornò a casa che gli giravano. Un'altra volta lo invitarono a un party nella sede di Los Angeles e il caporedattore (finora l’aveva conosciuto solo per lettera) gli chiese come se la cavasse con il code. Quale codice, chiese Barks (che era anche mezzo sordo). Il codice delle cose che Paperino può fare e non può fare, gli rispose il caporedattore. E chi se ne frega, gli rispose Barks. Un'altra volta (me le raccontò un giorno nella sua casa di Temecula) la Western gli mandò delle lettere di protesta di mamme a cui non andava giù non so quale storia, e lui scrisse un letterina di risposta su richiesta dell'editore. La lettera non fu ma recapitata perché era, diciamo, abbastanza paperinica nella sua violenza. 

La parte migliore della generazione dei baby boomers, in America e in Europa, si è formata su quelle letture. Anche in Italia, naturalmente. Se poi quella generazione ha fallito non si può farne una colpa a Carl. Lui, sulla vita, ci aveva avvertito. Era stato esplicito, bastava leggerlo. Non credete alle storie zuccherose. Credete pure nell'umanità, ma non troppo. Il mio papero non starnazza, parla. E non avete neanche idea di quante ne avrebbe da dire. Buon riposo, Carl Barks, e buona Pasqua.

mercoledì 27 marzo 2013

Streaming screaming



Per interpretare i segni dell’incontro di consultazione tra Bersani e i due M5S trasmesso in streaming servirebbe, più che la competenza del semiologo, l’expertise di un avvocato divorzista. Immortalati dalla freddezza dell’inquadratura fissa della webcam, con l’umiliazione della scolaresca seduta in seconda e terza fila a seguire la sessione d’esame (o forse la trattativa tra sordi) i protagonisti hanno l’efficacia drammaturgica di un episodio di Black Mirror: rappresentano perfettamente l’incomunicabilità tra mondi nell’epoca della comunicazione. Sarebbe tanto piaciuto a Charlie Brooker questo frammento di teatro dell’assurdo, in cui il mondo della politica veniva a scontrarsi con il suo vero nemico: il mondo degli spettatori televisivi. Di cui i due grillini sono perfetta rappresentazione. “Sono vent’anni che dite queste cose”; “Sembra di essere a Ballarò”. Forse avrebbero desiderato avere un telecomando in mano, per cambiare canale. E se qualcuno avesse dato una manata alla webcam e poi, a camera spenta, avesse urlato ai due grillini che stiamo per fallire e che bisogna portar via subito un altro sacco di soldi agli italiani?
Ma poi cos’è questa storia della trasparenza a tutti i costi? La democrazia dello streaming continuo, applicata non alla discussione democratica dentro una forza politica ma alla diplomazia, ci avrebbe portato comodamente a qualche guerra mondiale in più. Vi immaginate la trattativa sui missili di Cuba davanti alle telecamere? Sarebbero partite subito le bombe atomiche. Seguite da un sacco di talk show dall’altissimo share.
(Il geniale hashtag #screaming è naturalmente di @nomfup).

mercoledì 20 marzo 2013

La tv e i due Frecceri

Carlo Freccero.
Sono ancora a metà del bel libro di Carlo Freccero (Televisione, Bollati Boringhieri). Faccio molta fatica ad andare avanti perché sotto specie di saggio mi passa davanti anche un bel pezzo di vita personale, quindi almeno per me si tratta di lettura ansiogena.
Televisione è anche una summa del pensiero frecceriano, che si può sintetizzare così: la televisione (generalista) è la dittatura della maggioranza. E quando la televisione si fa politica, trascina questa principio fondante fino a farlo sovrapporre all'etica pubblica. Very Italian.
In realtà però (mi riservo un intervento più puntuale quando avrò terminato la lettura) posso dire fin d'ora che esistono due Frecceri. Freccero A è un proto-berlusconiano, ne incarna favolosamente gli animal spirits. E descrive meglio di chiunque altro l'incantamento che il mago stesso prova quando il sortilegio produce effetto. Freccero B è un acuto lettore del pensiero critico, un filosofo della crisi, uno strenuo avversario del neoliberismo e forse perfino del mercato tout court.
I due Frecceri, entrambi qualche spanna più alti rispetto dibattito medio sulla tv, hanno un punto in comune: anelano al consenso. Ma a differenza di Silvio, l'uomo che somatizzò con una congiuntivite la fine della seconda Repubblica, Carlo ricerca sì il consenso delle masse (come Silvio) ma anche quello dei maître à penser. Spiazzandone i luoghi comuni (magistrale il pezzo su Ricci e i modelli femminili degli anni Ottanta) e "riposizionando" la critica alla tv generalista oltre le colonne d'Ercole della solita geremiade contro la tv "nemica della cultura". Ma il suo intervento ha l'effetto di un potente analgesico. Il giorno dopo l'intellettuale tipo italiano ricomincia ad inanellare i vecchi luoghi comuni che per un attimo l'incantamento frecceriano gli aveva fatto rimuovere. Però quello era, forse, il Freccero A. Poi, per sua fortuna, c'è il Freccero B. "Per quanto io fossi preda di un profondo dualismo, le due nature in me coesistevano in perfetta buona fede" (Robert Louis Stevenson, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, 1886).

lunedì 11 marzo 2013

Beppe Grillo e il momento di Waldo

Il finale di The Waldo Moment (Channel 4).
Non si può non vedere The Waldo Moment, il terzo episodio della seconda serie di Black Mirror. E non solo perché, a prescindere da ogni altra considerazione, Charlie Brooker è un genio della televisione. Ma perché parla di noi. E al tempo stesso ci fa capire che noi italiani non siamo dei grotteschi cialtroni: siamo semplicemente gli anticipatori, ancora una volta, di ciò che può accadere in Europa.
Beppe Grillo.
The Waldo Moment parla dell'antipolitica, e di come può vincere sulla politica. Non parla di Beppe Grillo, parla di Gran Bretagna, di un'elezione suppletiva (indetta per sostituire un deputato che si è dimesso per uno scandalo sessuale) e dell'affermazione di un pupazzo animato, Waldo appunto. Uno tsunami elettorale che travolge il partito laburista (quante somiglianze tra la giovane candidata inglese e tanti personaggi nostrani) e, incidentalmente, fa vincere il candidato conservatore. Il resto è spoiler, e non mi sembra giusto raccontarlo qua. Merita, come tutte le storie scritte da Charlie Brooker, di essere visto e goduto in religioso silenzio. Il disincanto swiftiano-orwelliano -che non manca mai nelle storie di Brooker- può non piacere, o essere considerato banalmente apocalittico. Ma resta il fatto che Brooker coglie sempre il punto.

Waldo non sa che soluzioni dare ai mali della Gran Bretagna. E in fondo neppure gli interessa trovarle. Ma sa che la gente non ne può più della politica. La domanda sottotraccia di Brooker è: ma davvero l'antipolitica è meglio della politica? E la risposta è interlocutoria: la politica non capisce l'antipolitica, quindi potrebbe soccombere. La crisi è una grande facilitatrice. Guardatevelo, The Waldo Moment.

lunedì 4 marzo 2013

Ci manca un Trovajoli


Ennio Morricone e Armando Trovajoli.
C’è una sequenza dell’immenso Ieri oggi e domani in cui Sophia Loren riceve un passaggio sull’autostrada da un distinto signore con la spyder. Quel distinto signore era Armando Trovajoli.
Ho riscoperto Trovajoli tanti anni fa, quando i negozi di dischi a Manhattan erano ancora dei rutilanti megastore. A Time Square scendevi al gigantesco Tower Records e trovavi tutto quello che non riuscivi a trovare nei negozi italiani (Amazon era di là da venire). E tra le musiche da film scoprii dei curatissimi dischi di musiche di Trovajoli, quel Trovajoli che da noi da decenni snobbavano, anche se aveva scritto cose di geometrica potenza.

Ristampa giapponese
di un vinile di Trovajoli.
Qualche anno dopo, per un programma culturale un po’ sperimentale di Raitre, Onda anomala (così sperimentale che non si è fatto più) feci intervistare Nicola Piovani. Fu molto efficace e chiaro, spiegava con semplicità cos’era un accordo in minore e perché cambiava il senso a un pezzo, consentendogli di interpretare una perdita, una sconfitta. Ecco: la musica di questi vent’anni nel cinema italiano è stato quasi tutto un accordo in minore. La politica dei progressisti è stata quasi tutta, metaforicamente, un accordo in minore. Il cinema d’autore italiano è stato tutto un accordo in minore. Sento grandemente il bisogno di qualcuno che torni a suonarci un’idea di cambiamento e di ripresa, a ricreare gli accordi in maggiore con cui Armando Trovajoli trasmetteva l’energia di un’Italia che “ce la poteva fare”. Ci serve un Trovajoli, ragazzi. (Dice: ma di che ci stai parlando, Paolini? Di voi sto parlando).