lunedì 6 agosto 2012

Madeleines: Nicolini, l'Estate romana e la tv

Renato Nicolini (1942-2012).

Ho dei ricordi felici ma confusi della grande stagione dell’Estate romana voluta e realizzata da Renato Nicolini, che cambiò Roma, la vita nelle nostre metropoli e anche un po’ la sinistra italiana. Ma poiché molti invece non ne hanno alcun ricordo, perché all’epoca non erano neanche nati, mi permetto di scriverne.
Detto in poche parole, l’Estate romana di Nicolini ci permise in qualche modo di uscire dagli anni di piombo. E anche dalle liturgie della vecchia sinistra, sempre preoccupata di non essere abbastanza seria, abbastanza pedagogica, abbastanza severa con i moti dell’animo.
Il grande cinema alla Basilica di Massenzio (1977).
Al centro dell’estate romana c’era la riscoperta del cinema, del cinema come piacere della visione. Della visione di massa. Del Napoleon di Abel Gance ma anche del cinema hollywoodiano, fino alla riproposizione dei sottogeneri di Cinecittà. Arrivavano anche da noi, lentamente, le riletture dei Cahiers du Cinéma ecc., e l’idea che il cinema non fosse solo impegno ma anche liberazione delle nostre pulsioni. Qualcuno ri-scopriva vecchie tesi sepolte sotto i macigni della cultura marxista, la possibilità di mescolare, come si diceva allora, “cultura alta” e “cultura bassa”. Al fondo, l’idea che la vita non dovesse consistere soltanto in una sconfinata quaresima dominata dall’impegno, ma anche in un salutare carnevale. E che uno dovesse battersi non solo per la giustizia, ma anche, almeno un po’, per la felicità.
Non era estraneo a tutto questo il movimento studentesco del 1977, una svolta storica che ancora non è stata studiata sul serio perché si porta dietro troppi brutti ricordi. Eppure fu lì che i vecchi miti della sinistra iniziarono a sgretolarsi.

Il logo del primo Patalogo (Ubu Libri),
Uno dei motori decisivi di tutto questo sommovimento, stanno ai racconti di chi l’ha vissuto, furono i cineclub. Tempo fa Carlo Freccero mi ha fatto un bellissimo racconto di ciò che furono i cineclub in Liguria: da una parte quello “ufficiale”, in cui si proiettavano i classici del cinema impegnato, con successivo “dibattito” (vedere, sull’argomento, il definitivo capitolo de Il secondo tragico Fantozzi). E dall’altra un pulviscolo di cineclub “alternativi”, in cui –a irrisione della linea ortodossa rappresentata dai cineclub “di partito”- si proponeva una lettura diversa e un diverso cartellone, che da Ozu arrivava fino al poliziottesco italiano.
Franco Quadri.
Ecco, “poliziottesco”, ad esempio, è un’invenzione del Patalogo: un fantasmagorico annuario stilato dalla fine degli anni settanta da un gruppo di giovani intellettuali liguri e delle regioni vicine sotto la protezione di Franco Quadri e Gianni Buttafava. Si chiamavano Carlo Freccero, Enrico Ghezzi, Aldo Grasso, Marco Giusti, Mimmo Lombezzi, Oreste De Fornari, Roberto Turigliatto. Una summa del nuovo e del diverso che iniziò, anno dopo anno, ad occuparsi anche di televisione. E che scoprì la categoria del cult: per il cinema, e in seguito anche per la tv. Uno di loro, Freccero, fu preso da Berlusconi per mettere in ordine la sua library di film. Gli altri presero altre strade. La storia segue vie spesso contorte. Senza l’amore per il cinema non ci sarebbe stata l’Estate romana, e neanche la tv commerciale. Una bella contraddizione, ma le contraddizioni mandano avanti il mondo.

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