sabato 18 agosto 2012

Madeleines: Topolino, Don Camillo e Zavattini

Miracolo a Milano (1951).

Oggi la cronaca imporrebbe di scrivere del titolo Mediaset, che continua a lievitare aspettando l’emiro. E anche della caduta della raccolta pubblicitaria a giugno e luglio per le tv commerciali, mentre invece si aspettava un “effetto alea” dovuto agli Europei. Ma siamo in vacanza, e sotto l’ombrellone, ecco un’altra madeleine.

Madeleines. Se avete meno di trent’anni, quello che segue è un racconto storico. Se siete in zona  quaranta, è un pezzo della vostra vita.
Volevo farvi sapere che siete tutti un po’ figli di Luzzara, uno dei paesi dell'Emilia colpiti dal terremoto di quest’anno. Lo siete principalmente per un motivo: perché nella vostra formazione è stato fondamentale un signore che si chiamava Cesare Zavattini. Che era nativo di Luzzara, Reggio Emilia.  E che da quel mondo non si è mai veramente staccato.

Cesare Zavattini a Luzzara.
E non solo perché Zavattini ha scritto i film più importanti del nostro dopoguerra (Sciuscià, Ladri di biciclette, Umberto D., Miracolo a Milano). Ma per un altro motivo, forse anche più importante.  Perché Zavattini è, assieme a Federico Pedrocchi,  il padre di Topolino, almeno come lo conosciamo noi in Italia.
Nel 1936 Arnoldo Mondadori assunse Zavattini e gli affidò l’incarico di direttore editoriale. Le riviste Mondadori dipendevano da lui.  Anche i fumetti. Anche Topolino. Qualche storia a fumetti la scrisse Zavattini stesso, come la famosa saga di Saturno contro la terra, pubblicata a puntate sul giornale Topolino dal ‘36 al ‘41. O Zorro della metropoli, scritto con Guido Martina, in cui una specie di giustiziere proletario sconvolge una grande fabbrica e riesce a strappare migliori condizioni di vita per i suoi operai (1937, disegnata da Walter Molino).
Nel dopoguerra Mondadori decise di rilanciare Topolino. Il colpo di fortuna arrivò nel 1949, grazie alla nuova rotativa acquistata per stampare Selezione dal Reader’s Digest, che spinse Mondadori a ridurre a formato tascabile anche l’allora mensile disneyano.  Il nuovo formato “libretto” ebbe un enorme successo.  Qualche anno prima Zavattini aveva consigliato a Mondadori di assumere un suo amico, sodale e conterraneo di Luzzara, il grafico e pittore Mario Gentilini.  E Gentilini divenne direttore, per trent’anni, del Topolino “classico”, quello che va dal 1949 al 1980. Quello che ha formato almeno due generazioni di italiane e italiani.
La redazione di Topolino (1966).
Ho fatto in tempo a conoscere la vecchia sede della Mondadori, che era in Via Bianca di Savoia, a due passi dal Naviglio. A un muro di distanza dall’ufficio di mio padre c’era la redazione di Topolino, con Gentilini e il professor Martina. Ma non ci sono mai entrato, forse per un timore reverenziale.  Ogni tanto passavano due signori con il camice bianco da grafico editoriale, erano i “letteristi”. Quelli che scrivevano a mano, col normografo, i testi delle nuvolette.
Ma se ci pensate, il Topolino italiano (mi riferisco alle storie create e disegnate in Italia, cioé circa il 70% di quelle pubblicate dal giornale mondadoriano) non fa che seguire il precetto di base della poetica di Zavattini: il mix di realismo e fantastico. In Miracolo a Milano Zavattini fa volare Totò il buono e suoi amici sopra il Duomo di Milano, ma la base del racconto è la miseria reale degli anni della guerra. Zavattini pubblica una minuziosa rubrica settimanale su un giornale di cinema, “Cronache da Hollywood”, in cui dettaglia feste e amori tra le palme di Los Angeles, ma la scrive da Milano, perché non ha mai messo piede negli Stati Uniti.
Frigo americano e decor italiano (Paperin
meschino, 
di Martina e P.L. De Vita, 1958)

E’ grazie a questo robusto ceppo giornalistico, satirico e insieme fantastico che il Topolino italiano sopravvive al tramonto quasi planetario dei comic books disneyani (negli Stati Uniti non li pubblicano più da oltre un decennio) e la sua scuola (l’Accademia Disney) è ormai la più importante del mondo.
Non sono mai stato a Luzzara, città padana ai confini dell’Oltrepo’ Pavese, novemila abitanti. Però so che ha dato i natali a Cesare Zavattini e Mario Gentilini. E anche a Bruno Fortichiari, uno dei fondatori del Partito comunista. Vi ricordate Peppone e Don Camillo? Li aveva scritti un’altro di quelle parti, Giovannino Guareschi. Distantissimo, politicamente, da Zavattini. Ma, guarda un po’,  anche suo allievo in un convitto di Parma. E in seguito, suo amico. Nelle storie italiane di Topolino e Paperino scritte e disegnate nel dopoguerra c’è questa incredibile crasi tra gli sfondi della provincia americana (staccionate di legno, casette unifamiliari con backyard) e quelli del paesino italiano alla Don Camillo (la chiesetta col campanile, i palazzi intonacati, la scuola, la piazza). Sembrano ambientate tutte a Luzzara (o in mille altri comuni dello stivale).
Anche la vicenda di Topolino ci ricorda che, comunque la pensiamo, apparteniamo ad una memoria condivisa. E che siamo tutti, chi più chi meno, un po’ figli di Luzzara.

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