domenica 6 novembre 2011

I soliti idioti, i soliti pirati e i soliti ottusi


 I soliti idioti stanno facendo i soldi con la pala (solo sabato 1.687.000 euro al box office). Non sono piaciuti a Concita De Gregorio (capisco le preoccupazioni, ma I soliti idioti stanno al mercato e al gusto italiano come Jackass stava a quello americano). I soliti idioti sono una lunga serie su Mtv, che è stata vitaminizzata da Youtube (2 milioni di visualizzazioni per una clip!). Di Youtube  I soliti idioti centra i “moduli espressivi”: velocità, adolescenzialità, sregolatezza. Un successo per Taodue, echeggiato scrupolosamente anche da Aldo Grasso. 
Lascio ai critici le considerazioni estetiche. Secondo me invece I soliti idioti arrivano a fagiolo per parlare d’altro. Della pirateria. E dei soliti ottusi nel mondo della comunicazione. Perché se I soliti idioti sono nati per il pubblico giovane che guarda Youtube (lo stesso che carica sul web le proprie performance girate con il telefonino), allora dalle cinquecento copie in giro non c'è da meravigliarsi che sia già saltato fuori uno “screener”: cioé una copia pirata girata con la videocamera durante una proiezione in sala. Questa ripresa è già disponibile con più di 2000 fonti su Emule, diventerà un DIVX venduto nei mercatini e magari domani un bello streaming su Megavideo.

 Perché il pubblico dei Soliti idioti si muove su queste “piattaforme” come un pesce nell’acqua. Domanda: ma perché non lo vendono anche in rete o nei negozi contemporaneamente all’uscita nelle sale, o al massimo una settimana dopo? E perché non lo distribuiscono subito, a pochi soldi, su piattaforme come itunes? Perché aspettare che tutti quelli che lo desideravano l’abbiano già avuto gratis dalla chiavetta di un amico?

Tutto gratis? E’ la questione delle questioni, oggi. Molto più della governance Rai (che appassiona tanto i direttori dei giornali) o del destino del digitale terrestre o del finanziamento pubblico dei quotidiani. La questione della gratuità o se volete della pirateria nel web è la questione del futuro della comunicazione. E non solo per i produttori, anche per i consumatori.

Secondo me bisognerebbe dire due cose:
1.   i peggiori nemici dei produttori e distributori di contenuti (cinema, musica, televisione) sono i distributori stessi. Invece di farsi venire qualche idea nuova nel campo della distribuzione (della musica, del cinema, ecc.) hanno passato vent’anni a combattere la pirateria del peer to peer, ed è bastato che arrivasse Steve Jobs con l’idea di iTunes per spazzare via tutto il vecchio mondo delle etichette discografiche. 
    Nel campo del cinema questa manfrina passatista la iniziò la Walt Disney trentadue anni fa combattendo le videocassette (nessuno ormai ricorda che ci fu uno storico processo in cui la Disney tentò di mettere fuori legge il mitico Betamax, il primo videoregistratore casalingo  -e adesso la Disney il fatturato lo fa sull’home video, altro che le sale). Da noi più modestamente Mediaset ha fatto causa a Youtube. Anche gli autori non sono stati da meno, compresa la Società degli Autori ed Editori (che ha avuto capi come Mauro Masi). La Siae non riesce a garantire neanche che agli autori televisivi venga riconosciuta l’Enpals e se la prende con i blogger. 

2.      I cantori del “tutto gratis”, invece -non i vecchi che lo fanno per populismo giovanilista un po’ ipocrita (genere che si porta molto e che crescerà nei prossimi mesi in zona elezioni) ma la maggioranza dei giovani in Italia, che di questo principio sono seriamente convinti - sono però gli stessi che affollano le facoltà di Comunicazione, in pratica sono quelli che vorrebbero guadagnarsi da vivere facendo cinema, televisione, web, musica o spettacolo, tutte cose che se sono “a costo zero” non fanno campare proprio nessuno, tranne qualche fabbricante cinese di hard disk fuffa che si rompono dopo una settimana.
 
Allora secondo me l’unica risposta, banale forse ma seria, sarebbe di ripensare tutto il meccanismo con una regola molto semplice : pagare poco, pagare tutti.
Lo slogan è già alla moda per quanto riguarda le tasse, ma lì sarà più dura. Qui invece è (anche) una questione di mercato. Se le piattaforme di distribuzione si moltiplicano, se memorizzare (“storare” come si dice adesso in italese) costa sempre meno (ma poi ti perdi tutto con facilità), se la mattina dopo la proiezione o la messa in onda in America posso scaricare il film o l’episodio della serie da casa mia, come si può pensare di legare l’acqua? Solo in un modo: facendo pagare tutti e poco, e  molto poco almeno tutto ciò che non è “novità”. E abolendo le “finestre”, cioé rendendo disponibili i contenuti istantaneamente in tutto il mondo (almeno quelli che possono avere un mercato mondiale, con tutto il rispetto per Mandelli).
Perché anche trovare lo streaming pirata o scaricare illegalmente è un lavoro. Invece comperare dev’essere semplice, economico e veloce (una sola  azione, un solo click, non due). Si dirà: ma così guadagniamo di meno. Sì, cari, ma almeno guadagnate. E allargate il mercato legale. Altrimenti chiudete.
E se i burocrati delle istituzioni e delle multinazionali (mi sa che quei master degli anni ’90 siano stati più deleteri di altri apprendistati più ruspanti) pensano che basti un nuovo software per bloccare la pirateria vuol dire che non hanno capito niente. Se una cosa la vedi la puoi copiare. Cripta quanto ti pare... Sono sequenze di uni e di zeri, santo dio! Ma siccome i canali sono tanti e i contenuti tragicamente pochi, secondo me l’unica strada è questa. C’è fame di contenuti? Pagare poco e pagare tutti. Per produrre più musica e più “narrazione visiva”. Bella e brutta. Un modello come questo metterà in crisi tante lobby e rendite di posizione? Sì ma è meglio che finire tutti come gli attori dei film muti. facendo la figura, di fronte ai mutamenti tecnologici, dei soliti ottusi.

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