mercoledì 23 novembre 2011

I Tg e il teorema Paolini (Gabriele)

 

Tornano a girare i rumors su Minzolini e i possibili prossimi cambi al Tg1. Ma invece di parlare di nomine Rai, quasi un genere letterario per molti direttori di giornali,  mi viene in mente l’anchorman più noto dei Tg italiani, il mio quasi omonimo Gabriele Paolini. Tanto per rilassarsi un po'.
Tutti sanno chi è Gabriele Paolini: è il più famoso presenzialista televisivo italiano, quello che appare alle spalle dell’inviato di turno e sussurra frasi storiche tipo “Berlusconi ha il pisellino” o “usate i preservativi”. Certo uno fa tutto ‘sto casino per dire due pirlate, ma evidentemente il problema è apparire. Poi ci sono i suoi epigoni, i telefonisti sorridenti, quelli che compaiono dietro l’inviato/a con l’aria vaga e il cell in mano (li abbiamo visti durante le dirette nei giorni fatidici della crisi di governo, mentre dicevano alla moglie o all’amico mi vedi sto qua è da morire dal ridere guarda dillo pure a zia). La mia teoria è che questa occorrenza, tipicamente italiana, non è solamente un indice della nostra vanità ma anche una spia di una questione più specifica: come vengono fatti in Italia i Tg.
Dan Rather, storico anchorman di CBS Evening News
Tanti anni fa ho passato un po’ di giorni con quelli della CBS News a New York. Erano i tempi di Dan Rather. Avevo già avuto occasione di assistere alle dirette dei Tg Rai e privati: il più delle volte nelle regie c’era un delirio di urla, cassette che andavano e venivano, telefoni che squillavano, mixer audio che non aprivano mai il fader sul canale giusto perché nessuno dava informazioni al tecnico ecc. Al Tg della sera della CBS invece la regia era una specie di aula universitaria, con tre livelli di banconi, immersa nella penombra. Il  regista sussurrava le indicazioni in cuffia agli altri tecnici, il producer seguiva le agenzie e controllava i collegamenti e su un monitor scorreva il copione (sì, lo script) a cui tutti, inviati compresi, dovevano attenersi. Non volava una mosca. Al momento della pubblicità il regista con un filo di voce suggeriva al master control “Switch it!” E alla fine ciao ciao tutti a casa. Però facevano delle ottime dirette dalle zone di guerra e giravano le immagini che poi i nostri tg avrebbero ripetuto. E non ho mai visto un “pesce” (ti vedo ma non ti sento, pronto pronto, andiamo avanti con le altre notizie ecc., insomma il brutto della diretta).
Alla CBS News non avevano mai conosciuto un Gabriele Paolini. Per un motivo banale: a meno di non trovarsi in zona di operazioni o sul luogo di un delitto o di un disastro climatico gli inviati americani (e anche quelli di molti altri paesi dove la televisione è un mestiere) cercano sempre di evitare un collegamento in diretta ad altezza strada. 
Una diretta della CBS da Chicago. L'inviato (sulla destra) fa lo stand up da un piccolo podio su un trabattello
C’è sempre il trabattello: che sopraeleva cameraman e inviato rispetto al livello stradale. Nei casi peggiori ci sono due casse di legno (una per l’inviato e una per il cameraman) che stanno comodamente su qualunque furgoncino e che servono alla bisogna. E poi c’è il producer, il quale  si occupa anche di controllare assieme al cameraman il posizionamento della camera (l’inviato dev’essere sempre contestualizzato, a colpo d’occhio si deve capire dov’è ecc.). E’ un lato non indifferente di un modo completamente diverso di concepire il lavoro delle news. Nei telegiornali e nei canali news di gran parte del mondo ci sono quindi un giornalista e un producer che lavorano fianco a fianco. E il producer non è un mero organizzatore: il suo compito è tradurre la notizia in prodotto televisivo.   
Augusto Minzolini, Direttore del Tg1
In quelle realtà fare un telegiornale equivale a fare un buon giornale di carta. E gli aspetti più squisitamente “televisivi” del lavoro non vengono snobbati (l’infografica fatta bene, la playlist ordinata, le musiche e i suoni live, il montaggio delle interviste, le luci nello studio). In fondo l’equivalente del lavoro dell’art director in un quotidiano. Vi immaginate cosa significherebbe una prima pagina o lo splash panel della cultura senza un buon grafico che le imposta? O la scelta di foto brutte e scadenti su un quotidiano nazionale? Invece ci sono ancora telegiornali in Italia che ricevono i contributi video in “composito analogico” o peggio che hanno sostituito il lavoro d’archivio con le immagini quadrettate rubate da internet.  Il problema è sempre chi ti giudica: farai carriera se sei un bravo professionista o se ti dimostri uno fedele alla linea? (Linea editoriale, naturalmente).

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