martedì 1 novembre 2011

Il dopo-Jobs: Apple rinuncia al mercato dei professionisti?

La notizia l'ha data ieri AppleInsider http://www.appleinsider.com/articles/11/10/31/despite_new_cpu_options_apple_reportedly_questioning_future_of_mac_pro.html, sito generalmente ben informato di rumors sull'Apple. Pare (il condizionale è d'obbligo perché nella tradizione di Jobs l'azienda di Cupertino cerca di mantenere il segreto su ogni decisione aziendale) pare, dico, che che l'azienda si stia orientando a dismettere la produzione dei Mac Pro. Per i non addicted: i MacPro sono le workstation "a torre" dell'Apple, i computer della mela usati dai professionisti (della fotografia, della musica, del video, degli effetti speciali ma anche in campo medicale ecc.). Da due anni la linea dei MacPro non viene rinnovata e questo di solito in cupertinese è già un segnale preciso. In realtà da tempo (ed è stata una decisione abbastanza esplicita di Jobs) Apple ha deciso di allontanarsi dal mercato dei professionisti. Anche se è stato quello il mercato che ha dato agli inquilini di Infinite Loop la spinta iniziale ed anche "l'aura", o se preferite il brand.


Mac era stato la terra promessa per decine di migliaia di fotografi, montatori, musicisti esasperati dal sistema operativo di Windows, che è scritto per ingegneri e per un decennio è stato in pratica una casetta piena di finestre simile ai fondali dei film western, un cartonato che celava il vecchio ms-dos:  appena uscivi dal seminato di word ex excel occorreva chiamare un tecnico per districarti nella giungla dei drivers, delle versioni, degli aggiornamenti, delle patch e dei bug. Macintosh era invece un'idea integrata di hardware e software, molto stabile nelle sue versioni 10, che hanno per base il roccioso Unix. E combaciava perfettamente con l'idea organicistica di Steve Jobs: non avrai altro sistema operativo, altro tecnico, altro confidente, compagno di studi e di svaghi all'infuori di me.
La "visione" (perché di visione si tratta, e come tuti i visionari Jobs la viveva in modo autoritario) nel frattempo è andata al popolo, attraverso gli ipod e poi i telefonini e i tablet, itunes e ora icloud. Fra un annetto o più sarà il turno della televisione, e saranno cazzi per i garruli manager che si incaponiscono a progettare cubi (telecom), nuovi set-top box (mediaset), videostation (fastweb), tanto per parlare di casa nostra. Solo a un CEO sciroccato o a un ingegnere lunatico può venire in mente che la gente continui a costruire un altarino di scatolotti da cui pendono orrendi fili che scorrono sopra, a lato, e sotto il televisore del salotto. Arriverà qualcosa di bello e di semplice e li spazzerà via tutti (perché i manager dell'industria dell'hardware ascoltano solo gli amici maschi mentre Steve Jobs ascoltava anche le donne e aveva un forte senso estetico).
Ma per strada Jobs e la Apple hanno scoperto che mentre  si apriva davanti a loro una prateria di miliardi di consumatori (gli stessi che in tempo di crisi bloccavano Roma una settimana fa per comperare un'ipad con lo sconto da Trony) la vecchia legacy, la consorteria, gli antemarcia dei macchisti duri e puri erano diventati una palla al piede: esigenti, rompicoglioni, puntigliosi (volevano perfino le fatture, mentre l'App Store di Apple non prevede neanche una fattura con l'Iva).

Allora Jobs ha iniziato a intervenire con la mannaia: prima ha abolito gli XServe e gli Xserve Raid (in pratica i server professionali dell'Apple). Così, da un giorno all'altro. Poi ha chiamato Randy Ubillos, l'inventore di Final Cut, il software di montaggio professionale più usato al mondo, e gli ha fatto trasformare il programma in una App semplificata, che presto girerà anche sull'ipad ma che è inservibile per le aziende come BBC, Disney e CNN che l'avevano adottato in un workflow industriale. A costo di essere bersagliato di proteste e insulti sui blog. Perché tutto questo? Perché (anche se a parole lo negano) i capi dell'Apple hanno deciso che è tempo di lasciarsi alle spalle quel mondo. E forse, nel medio periodo, il mondo dei pc in generale.
Jobs lo aveva detto in modo abbastanza chiaro: non siamo più un'azienda di computer perché il mondo non ha più bisogno di computer, ma di oggetti belli e semplici che svolgono compiti che interessano tutti. Per i pc ci sono sempre windows e linux (e ormai costruire da soli una workstation non è più difficile che montare un mobile dell'Ikea). I dati sembano dare ragione a questa scelta strategica.
L'abbandono progressivo dei mac, soppiantato dai gadgets che girano su iOS e da iCloud non lo leggerete mai in un comunicato Apple: anzi diranno che la vendita di mac (soprattutto i portatili, naturalmente) sta andando benissimo e anzi da quando ci sono gli ipad loro vendono più macbook pro. Ed è vero che la costruzione di un ecosistema che ha in iCloud lo Spirito santo, in iTunes il distributore planetario di contenuti ecc. rafforza la vendita dei pc apple più vicini al mercato consumer.


Costano di più ma sono computer più belli, costruiti meglio degli altri, con più cura dei dettagli, con un sistema operativo più semplice e lineare e più  efficiente.  E allora? Semplicemente, il punto di gravità permanente dell'Apple sarà sempre di più il mercato consumer e non quello di chi usa i pc per lavorare. E il mercato consumer avrà sempre meno bisogno di una macchina che finge di saper fare tutto e sempre di più di macchine semplici e belle che svolgono determinati compiti e sono interconnesse (senza fili) tra loro e con lo spirito santo.
L'unica incognita di tutto questo è che è come se Gesù avesse preso una barca e lasciato i suoi apostoli a piedi sul bagnasciuga.

Nessun commento:

Posta un commento