sabato 19 novembre 2011

Mediaset e il dopo Silvio

Archiviato il quasi ventennio del Cav, sperimentate duramente le acque perigliose dei mercati, Mediaset dovrà decidere cosa fare da grande. Uno dice: ma di che parli? Mediaset è Berlusconi, deciderà lui, magari il Cav domani schiererà le sue tv come una clava di un suo movimento Forza Silvio ecc.
Non è così semplice. Prima di tutto, checché se ne dica, Mediaset è un’azienda. Un’azienda sostanzialmente sana e con i conti in ordine anche se discretamente “matura”.  Sicuramente favorita, in tutti questi anni, dalla presenza al governo del suo fondatore, sicuramente invecchiata nel suo palinsesto, nella creatività e nelle idee che trasmette (in certi casi sembra raffigurare un’enclave degli anni ’90, ormai stridente con il “comune sentire”).  Ma sicuramente è anche un’azienda che produce, che ha più di 10mila dipendenti, che è entrata anche nella pay, nelle tematiche e nella Rete. Ed è un’azienda le cui azioni sono in mano anche, in modo consistente, a fondi pensione americani ecc.
Nelle precedenti svolte politiche Mediaset, non meno della Rai, è stata un ago sensibile degli spostamenti politico-culturali: dopo le elezioni del 1996 l’iniziale propensione di Berlusconi a “fare muro” cambiando perfino il direttore di Canale 5 subì una repentina conversione. (Nessuno  se lo ricorda, all’inizio era stato catapultato Giampaolo Sodano, ex direttore socialista di RaiDue, con il compito di normalizzare Canale 5, compreso- udite udite-  il gruppo di Antonio Ricci. Ma con un colpo da maestro Fedele Confalonieri lo sostituì con Maurizio Costanzo dopo soli tre mesi. E Sodano tornò alla politica -in Forza Italia- e nella distribuzione cinematografica).
D'Alerma a Cologno Monzese, 1996
Già prima delle elezioni, annusando l’aria, l’astuto Confalonieri aveva organizzato il fatidico incontro a Cologno Monzese tra Massimo D’Alema e lo stato maggiore delle sue tv. Nei palinsesti Mediaset (appena quotata in borsa) si affollarono un talk di Michele Santoro, due programmi con la Gialappa’s, le Iene, un altro talk con la Bignardi e perfino (se lo sono dimenticati tutti) un programma di satira condotto da Serena Dandini. A Target fu consentito di osare, Costanzo bordeggiava e Mentana si smarcava dolcemente dal Cavaliere appena poteva.  (E nessuno legiferò sul famoso conflitto).
Nel 2001 tutto si resettò nel senso opposto, Gori scelse di fare la sua società, Santoro era già tornato in Rai (per poi essere “edittato”), Mentana cominciò a sentire un po’ di fiato sul collo e tutto andò come sappiamo.
Nel 2006 Mediaset fu schierata in campagna elettorale,  e quando si vide che la vittoria di Prodi era di un’incollatura, dopo qualche giorno di incertezza fu scelta la via della contrapposizione al traballante governo dell’Unione.
Ma adesso è un’altra storia. Un ciclo è finito e non pare che Mediaset- nonostante qualche prudente uscita di Piersilvio Berlusconi, come quella sul Corriere di oggi, si sia smarcata in anticipo. La cosa curiosa è che gli unici segnali in campo avverso –sia pure felpatissimi e facilmente coperti da sonore grancasse in senso contrario- li aveva mandati in questi anni proprio Piersilvio: fu lui a volere Mentana a Matrix dopo che era stato sostituito al TG5 col più allineato Mimun, lui a farsi fotografare al circolo Arci con il suo prediletto Chiambretti, lui a proporre di assumere Floris per un talk politico sulle sue reti. Timidi passi subito contraddetti da mosse in senso contrario. Ed è proprio Piersilvio – in quanto rappresentante della famiglia- il più esposto in questa nuova temperie.
La crisi del governo Berlusconi dall'All News Mediaset
E quindi? Oggi in realtà il problema per Mediaset non è solo politico ma anche culturale: la programmazione (volevo dire la "narrazione" ma una vocina mi ha fermato prima dell’irreparabile) di Mediaset parla nel suo insieme a una parte grande, grandissima e profittevole ma comunque non alla maggioranza degli italiani. Mediaset ha perso centralità. Le labbra a canotto ormai albergano solo nelle dame di Cafonal e i ragazzi con la t-shirt attillata esistono solo nelle periferie degradate e in qualche programma di Mediaset.  Gli asset dei palinsesti – asset prima di tutto per la raccolta pubblicitaria- sono quasi tutti nati in una stagione lontana, hanno più di dieci anni e in alcuni casi toccano i 20: Striscia (1988), le Iene (1997), i programmi di Maria De Filippi (Saranno famosi/Amici è del 1992), il Grande Fratello (2000) ecc. ecc. E sull’informazione? Mediaset tenta un talk politico più aperto ma lo mette sulla rete in cui il tg è ancora il tg di Emilio Fede, e quindi terra bruciata, nessuna operazione può attecchire. Mediaset fa partire il canale all news mettendoci la Spiezie e gestendo i primi giorni sperimentali con equilibrio ma non comunica in modo esplicito la sua volontà di farne un canale di informazione e non di propaganda. Anche se l’indicazione di renderlo il più possibile unbiased l’ha data, a quanto ne so,  proprio Piersilvio Berlusconi.
Tutto questo avviene proprio mentre la tv cambia: la Rai sarà meno ingessata (e magari, anche a prezzo di dolorose ristrutturazioni, dotata di risorse scarse ma certe), internet – grazie al mobile - diventerà una piattaforma centrale anche per il pubblico “centrale”, mentre Sky già comincia a parlare italiano e nuove realtà spingono da tutte le parti. E tutto questo avviene proprio mentre la pubblicità rappresenta la prima voce che le aziende stanno smussando in una situazione di crisi. E quindi? E quindi Mediaset (consideriamola per un attimo come un’azienda e  non come un’azienda di famiglia) dovrà fare una rivoluzione. Diciamo, per carineria, una rivoluzione copernicana. Non basterà più far abbracciare D’Alema dal Gabibbo.

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