Tv Blog ha aperto un dibattito inter-blogger (quanto
sono bravi questi di Tv Blog, qualche critico tv dovrebbe imparare da loro)
sull'Auditel e la qualità televisiva e Malaparte mi ha chiesto se ho qualcosa
da dire.
In realtà quello che
penso dell'Auditel l'ho già scritto tempo fa e per il resto se Carlo
Freccero mi avesse passato un foglietto con il suo intervento avrei
potuto tranquillamente controfirmare.
Carlo dice quello che pensano tutti, ma detto da lui ha un altro suono.
Uno si domanda: perché? Nella risposta a questa domanda, in realtà, c'è la
chiave di tutto.
Ma prima, come nelle migliori serie tv, un bel flashback
(con reverse: uuuossshh!).
I primi dirigenti Rai che ho conosciuto - non per lavoro, ma
per rapporti culturali o giornalistici o sono per averli visti a qualche
convegno, sto parlando della notte dei tempi - erano fondamentalmente, forse
non tutti ma per la gran parte, degli intellettuali. Magari era gente che era
stata messa lì dalla Democrazia cristiana, più tardi anche dal Partito
socialista e qualcuno anche dal Pci (nella "Terza rete", come la
chiamavano). Ma in quanto intellettuali.
Gente che aveva la casa piena
di libri, che aveva avuto un passato culturalmente interessante, magari erano
cattolici conservatori, o cattolici di sinistra che poi erano diventati comunisti, oppure liberali
diventati repubblicani o socialisti di prima che erano diventati socialisti di
dopo, oppure gente uscita dal famoso "corso" da cui vennero fuori
Umberto Eco e tanti altri. Si dividevano in due tipi umani: quelli che facevano
televisione turandosi il naso (guardate cosa mi tocca fare) e quelli che si
divertivano a farlo (tipo Guglielmi, ma non solo lui). Entrambi i tipi umani si ponevano ogni giorno la questione del
pubblico. Se la ponevano e però la - come dire? - masticavano filtrandola con
una serie di parametri culturali che impedivano loro, geneticamente, il crollo
non tanto verso il trash quanto verso l'inutilità, verso il grado zero della
comunicazione, verso il "rumore rosa".
Carlo Freccero |
Può darsi, come diciamo spesso, che un giorno non ci sarà
più bisogno di palinsesti. Ma comunque ci sarà bisogno di brand. Perché la
televisione non è un programma ma un brand: ogni televisione è una chiave di
lettura. Quando Channel Four trasmette un reality non trasmette quel reality ma
quel reality all'interno di uno storytelling più complessivo (so che a
Carlo piace tanto dire storytelling, quindi mi associo). Che non dà soltanto
luce a quel programma ma propone anche ai suoi telespettatori una chiave per
leggerlo. D'altronde, se vedi il reality dopo aver visto Black Mirror non è
come se vedessi il reality dopo aver visto Centovetrine. Per quanto sia un
prodotto industriale la televisione ha un bisogno disperato di brand. Cioé di
idee. Viste da molta gente.
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