giovedì 1 marzo 2012

L'Auditel, TvBlog e il rumore rosa


Tv Blog ha aperto un dibattito inter-blogger (quanto sono bravi questi di Tv Blog, qualche critico tv dovrebbe imparare da loro) sull'Auditel e la qualità televisiva e Malaparte mi ha chiesto se ho qualcosa da dire.
 In realtà quello che penso dell'Auditel l'ho già scritto tempo fa e per il resto se Carlo Freccero mi avesse passato un foglietto con il suo intervento avrei potuto tranquillamente controfirmare.  Carlo dice quello che pensano tutti, ma detto da lui ha un altro suono. Uno si domanda: perché? Nella risposta a questa domanda, in realtà, c'è la chiave di tutto.
Ma prima, come nelle migliori serie tv, un bel flashback (con reverse: uuuossshh!).
I primi dirigenti Rai che ho conosciuto - non per lavoro, ma per rapporti culturali o giornalistici o sono per averli visti a qualche convegno, sto parlando della notte dei tempi - erano fondamentalmente, forse non tutti ma per la gran parte, degli intellettuali. Magari era gente che era stata messa lì dalla Democrazia cristiana, più tardi anche dal Partito socialista e qualcuno anche dal Pci (nella "Terza rete", come la chiamavano). Ma in quanto intellettuali

Gente che aveva la casa piena di libri, che aveva avuto un passato culturalmente interessante, magari erano cattolici conservatori, o cattolici di sinistra che poi erano diventati comunisti, oppure liberali diventati repubblicani o socialisti di prima che erano diventati socialisti di dopo, oppure gente uscita dal famoso "corso" da cui vennero fuori Umberto Eco e tanti altri. Si dividevano in due tipi umani: quelli che facevano televisione turandosi il naso (guardate cosa mi tocca fare) e quelli che si divertivano a farlo (tipo Guglielmi, ma non solo lui). Entrambi i tipi umani si ponevano ogni giorno la questione del pubblico. Se la ponevano e però la - come dire? - masticavano filtrandola con una serie di parametri culturali che impedivano loro, geneticamente, il crollo non tanto verso il trash quanto verso l'inutilità, verso il grado zero della comunicazione, verso il "rumore rosa". 
Carlo Freccero
Il rumore rosa (pink noise) è quel rumore disturbante che proviene dal televisore quando è acceso senza essere sintonizzato su nessun canale. Quel rumore in realtà è prezioso per i tecnici che devono regolare il suono, perché contiene in sé tutte le frequenze udibili. Molti programmi di oggi mi ricordano, appunto, il rumore rosa.  Ecco, quel tipo di dirigenti tv non l'avrebbero consentito. Così come persone come Carlo Freccero, che nella sua carriera è riuscito a inserire nei suoi palinsesti Emilio Fede, la D'Eusanio e Gian Franco Funari senza che ciò facesse della sua rete (parlo di Italia Uno ma anche di RaiDue) una rete del "rumore rosa". Riuscendo sempre, cioé, a produrre quella scintilla, quello sgurz che distingue il pensiero dalla banalità. 

 Può darsi, come diciamo spesso, che un giorno non ci sarà più bisogno di palinsesti. Ma comunque ci sarà bisogno di brand. Perché la televisione non è un programma ma un brand: ogni televisione è una chiave di lettura. Quando Channel Four trasmette un reality non trasmette quel reality ma quel reality all'interno di uno storytelling più complessivo (so che a Carlo piace tanto dire storytelling, quindi mi associo). Che non dà soltanto luce a quel programma ma propone anche ai suoi telespettatori una chiave per leggerlo. D'altronde, se vedi il reality dopo aver visto Black Mirror non è come se vedessi il reality dopo aver visto Centovetrine. Per quanto sia un prodotto industriale la televisione ha un bisogno disperato di brand. Cioé di idee. Viste da molta gente.

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