mercoledì 7 novembre 2012

Allarme rosso per le tv italiane?


Il Live Coverage della CNN per la notte delle elezioni americane: quest'anno niente
fuochi artificiali.

Nella notte della vittoria di Obama, che ci fa felici, l’osservatore più attento si sarà forse accorto di una cosa. Fino a quattro anni fa il coverage delle elezioni presidenziali veniva utilizzato dalle tv americane, e non solo da quelle, come terreno per sperimentare nuove soluzioni narrative: nella grafica, nella scenografia degli studi, negli effetti speciali (durante l’Election Day del 2008 la CNN aveva addirittura provato ad ospitare in diretta l’ospite virtuale, un personaggio che si muoveva nello studio di Atlanta pur essendo fisicamente a New York o a Washington). Anche le televisioni italiane spendevano per sfarzose scenografie, investivano in animazioni grafiche ecc.
Ieri notte tutto è avvenuto con quella che ottimisticamente si potrebbe definire una composta sobrietà: da RaiUno con Porta a porta a RaiTre con il TG3 e RaiNews, da La7 con Mentana a Mediaset con Tgcom24 in simulcast con Canale 5, tutti hanno coperto la notte di Obama dignitosamente, ma “con quel che c’era in casa”. Compresa Sky. Anche negli Stati Uniti la CNN ha riutilizzato i grandi schermi di quattro anni fa e chiusa lì.
Questo nostro amore, con Neri Marcorè e Anna Valle:
un successo per RaiUno, ma difficilmente vendibile all'estero.
Si dirà: hanno fatto bene, con questa crisi non è il caso di buttare i soldi. Appunto. Ma vediamo a che punto è questa crisi.

1. Anzitutto: la crisi della tv non è, al momento, crisi di ascolti. Anzi. Sì, c’è una parte del pubblico, per ora una robusta nicchia, che (al di là dei live events come le elezioni americane) recupera i programmi che gli interessano nei replay online forniti ormai da tutte le televisioni. C’è un aumento dell’attenzione verso la tv satellitare Sky. Ma la tv nel suo complesso, fruita live o in differita, non è diventata meno importante nella vita della gente (tranne per i teenager e i ventenni, che in parte la recuperano grazie alla Rete). Anche la diffusione crescente dei tablet e degli smartphone sta lentamente diventando un modo nuovo per restare connessi alla tv. C’è una crescita esponenziale del secondo schermo (cioè di gente che commenta su twitter o su facebook i programmi mentre vanno in onda). Lo share delle grandi reti generaliste si è abbassato e si abbasserà ancora, l'ascolto si è più frammentato, ma i broadcaster restano i grandi protagonisti del mondo della comunicazione (con l’aggiunta di Sky).
2. La vera crisi è nella raccolta pubblicitaria.  Le previsioni pessimistiche fatte alla fine dei trimestri precedenti, e che riguardavano la raccolta dei principali players italiani, Rai e Mediaset, si sono rivelate in realtà ottimistiche.  La stessa Mediaset, che all’inizio dell’estate prevedeva di chiudere l’anno con un -9%, ormai è rassegnata –secondo gli analisti- ad una raccolta annuale che al 31 dicembre sarà con un meno a due cifre (e non sappiamo ancora se la prima delle due cifre sarà un uno o un due). La Rai non sta certo meglio.
La torre di mediaset a Cologno Monzese.

3. La 7 aumenta la raccolta, ma visti i soldi spesi per il palinsesto e il livello da cui partiva, non è esattamente un yu-uuh. Sky non si può lamentare per la pubblicità, ma qualche seria preoccupazione ce l’ha sui rinnovi degli abbonamenti.
4. Sostanzialmente: il crollo degli investimenti pubblicitari non dipende molto dai palinsesti. Se tutta la tv italiana fosse più bella, al momento i soldi non arriverebbero lo stesso. Puoi rubacchiare qualcosa al vicino, ma è la guerra delle briciole.  Perché –a parte Sky, che è un discorso diverso e più complesso- non sono gli spettatori che pagano, ma gli inserzionisti. E le aziende italiane non hanno soldi perché la gente non spende. (E la gente non spende perché non ce l’ha, i soldi, ecc. ecc.). Le multinazionali poi hanno spostato una parte dei loro investimenti su mercati più redditizi (troppo facile spiegare tutta la flessione di Publitalia col fatto che Berlusconi non è più al governo, sai quanto gliene può fregare a Procter & Gamble di chi è al governo in Italia, se in Brasile girano più soldi investiranno di più in Brasile).
5. Sicuramente il grosso della tv generalista italiana non è fatto per attrarre il pubblico giovane-centrale (e anche la Rai dovrà dedicare più sforzi perché almeno uno dei suoi canali generalisti parli di più a quella fetta di pubblico). Ma oggi non è nemmeno questa la questione decisiva.
6. Il vero problema è che oggi la tv italiana costa troppo rispetto alle risorse disponibili. Non è un problema solo italiano. Anzi. Un minuto di televisione italiana costa meno rispetto a un minuto di televisione inglese, per dire: ma a parte la qualità, quelli fanno molto prodotto “non a utilità immediata”, cioè programmi che si possono replicare e vendere all’estero, mentre qui è tutto un bla bla di gente che si dà sulla voce negli studi. In più una fiction italiana, girata in italiano e traguardata al pubblico di RaiUno, prima che tu riesca a venderla all’estero, se non parla di mafia, hai voglia penare.
7. Quindi? Quindi i palinsesti, nell’immediato, dovranno costare di meno. Il riflesso condizionato all’italiana è: facciamo tutto “dentro”. Dentro gli studi delle fabbriche interne. Ma il problema è che quegli studi e quelle risorse sono già sature. E le idee nuove non è che pullulino. Anche per un fatto generazionale: quanti quadri Rai e Mediaset hanno trent’anni o meno? Andate a vedere quanti giovani ha invece la BBC (che pure ha licenziato 2000 persone).
George Entwistle, nuovo Direttore Generale della BBC.
Ma una volta dato il contentino ai sindacati dimostrando che si utilizzano appieno le risorse interne, bisognerà ammettere che i costi delle fabbriche interne di Rai e Mediaset sono già fuori mercato.  E il look che producono è antico. Una patina anni ottanta-novanta che è difficile scrollarsi di dosso, dalle camere, al montaggio, alle luci. Ma veramente pensiamo che il futuro della tv siano studi in cui per registrare uno che parla su un fondo neutro ci vogliono quindici persone?
Una tv che costa meno è anche una tv fatta da gente giovane con metodologie produttive diverse. E non sarà necessariamente più brutta. I grandi varietà tradizionali nessuno sa farli meglio delle fabbriche interne Rai e Mediaset. Ma quanti grandi varietà vogliamo fare nel 2013? E perché X Factor, realizzato fuori dalla fabbrica Rai, ha un sapore diverso?
Forse bisognerà andarsi a rileggere il discorso fatto al suo insediamento da George Entwistle, il nuovo Direttore generale della BBC: che ha messo in competizione senza più limiti quantitativi fabbrica interna e produttori esterni (in Gran Bretagna sono centinaia). Chi ha l'idea migliore al miglior prezzo? Questo significa iniziare a fare gli editori con lungimiranza. Altrimenti, dopo tante chiacchiere, rimarrà solo la strada dei licenziamenti. Senza neanche avere contribuito a creare un nuovo ecosistema per i lavoratori della tv.

2 commenti:

  1. La migliore analisi letta fin ora sullo stato della tv italiana. Ho 26 anni e lavoro nello spettacolo da quasi cinque anni. In tutte le produzione dove ho lavorato, sono sempre il più giovane. La cosa inizia un po' a spaventarmi :)

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  2. Da fruitore del mezzo, l'aspettativa e' che in un panorama di risorse limitate i contenuti possano tornare a prevalere non dico sulla forma, che comunque è importante, ma sul contorno, sul superfluo.
    Ricordo con molta simpatia la fine degli 70 inizi 80 delle prime tv private e mi auguro che possa ripetersi qualcosa del genere ovviamente in chiave diversa; allora l'Italia usciva da anni difficili e aveva voglia di lustrini, ora invece l'attendono nuove sfide e quindi il contesto e' ancora più stimolante.
    Se però il tutto si traduce nel riproporre il passato per il contenimento dei costi, in quest'autorefernzialita e nostalgia che impregna la TV italiana (a parte SKY) allora la strada e' segnata.ed il bello e' che seppur volessi vedere questi prodotti dal Giappone, ho pure bisogno di simulare un IP italiano...

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