Proviamo a ragionare dell’unico tema che fa girare le palle al sistema televisivo italiano: l’Auditel. In queste settimane gli amici di TvBlog hanno lanciato un dibattito non banale su queste questioni. Però proviamo, per favore, a farlo in modo non ideologico. Ogni volta che, parlando di Auditel, qualcuno mi fa le faccine (come dire “ma davvero ci credi? Allora sei un pollo”) mi viene in mente la vecchia battuta di Giorgio Amendola, il quale ricordava come, nel dopoguerra, prima di ogni elezione si verificasse un curioso fenomeno: non si trovava nessuno che dichiarasse di votare democristiano. Poi la DC regolarmente vinceva le elezioni e nelle sezioni di partito qualcuno spiegava il risultato ipotizzando brogli e congiure.
Provo a schematizzare quello che penso io (e non è detto che si debba essere d’accordo con me, naturalmente).
Per quanto possa farci dispiacere, l’Auditel nel suo complesso è un sistema abbastanza attendibile per capire chi guarda cosa in televisione. Non è attendibile per dare i voti, ma questa scusatemi è un’altra storia.
Potrebbe essere ancora più attendibile? Qui arriva la questione dei meter, o meglio, dei people meter. Ecco, questa è una questione complicata (e la linea, secondo me sbagliata, di Auditel è sempre stata quella di parlarne il meno possibile: ingenerando così sospetti e dietrologie).
Riassumiamo (ma esperti come Daniela D’Uva di queste cose ne sanno molto più di me e potrebbero a ragione contraddirmi): i meter sono sicuramente più attendibili delle interviste telefoniche fatte per sapere che partito voteresti. Prima di tutto perché sono piazzati in 5200 famiglie e nessuno (forse Berlusconi, ma ogni tanto, e Procter & Gamble, più spesso) ha in Italia i soldi per fare sondaggi con una base di più di 1000 interviste. Quindi la mia personale opinione è che con i sondaggi politici ci potete nella migliore delle ipotesi incartare il pesce, mentre con l’Auditel non è consentito snobbare. Se non altro perché il campione è molto più largo.
Ma come funzionano i people meters? Il people meter è uno scatolotto inventato dalla Nielsen (che è proprietaria anche dell’Abg Italia, la società che fornisce i dati al consorzio Auditel, ed è più o meno lo stesso device che Nielsen utilizza in tutto il mondo). I meter Auditel sono piazzati in 5200 famiglie di tutta Italia, scelte con metodo statistico per essere “rappresentative della popolazione italiana”. E’ chiaro che non è facilissimo convincere un professore universitario a mettersi in casa lo scatolotto qui a fianco raffigurato, per cui quando serve ai fini statistici la famiglia di un intellettuale, beh la andranno a pescare da un’altra parte. Ma è altrettanto vero che non è con i professori universitari che si fanno i soldi in tv. Così come è evidente che non sempre tutti i dati affluiscono effettivamente ai server dell’Agb alle 2 di ogni notte (con l’efficienza della rete fonia e dati italiana poi). Per cui ipotizzo che si introducano degli algoritmi (niente di scandaloso ma sarebbe interessante saperlo).
Lo scatolotto italiano (Pancini o chi per lui mi smentisca se sbaglio) prevede che ogni membro della famiglia prema il telecomandino per dire “ehi, ci sono anch’io e sto guardando” e prema un bottone anche per segnalare se ci sono ospiti (cioé spettatori non membri della famiglia) e quanti. Si deve supporre (ma non ho evidenze, ovviamente, solo chiacchiere con amici di amici che hanno avuto lo scatolotto in passato) che un po’ di tifoseria si eserciti (se ti piace un certo programma o vuoi sostenere un conduttore, anche per nobili ragioni, magari qualche ospite in più salta fuori, ma ripeto è solo un’ipotesi). Anche se secondo me questo non sposta di tantissimo il risultato. Quello che mi lascia più perplesso è il conteggio del numero delle persone (davvero tutti cliccano ogni giorno o dopo un po’ si stufano di denunciare la propria presenza davanti alla tv? Non lo so, ma mi piacerebbe saperlo).
E poi il modo in cui si calcolano o non si calcolano gli ascolti dei programmi in time-shifting, per capirci “in registrata” (da un registratore analogico o digitale privato o da quello di Sky, ad esempio). Per non parlare di quelli che guardano i programmi su internet il giorno dopo (per ora siamo a qualche decina di migliaia ma aumenteranno). Non è che Nielsen non se ne stia occupando, del cross-platform, ma ancora non mi è chiaro come possono venire integrati i dati delle diverse “piattaforme”. L’altro problema infine è il calcolo delle “nanoshare”.
Possibile che non ci siano sistemi più moderni? La Nielsen di meter a dire il vero ne ha sviluppati più di uno, come potete leggere qui. Il meter TVM5, a differenza del TVM4 che viene ancora utilizzato in Italia (e in molti altri Paesi, in verità) riconosce da solo le persone presenti davanti alla tv e si accorge anche di quando se ne vanno. Non devono più "loggarsi" con un telecomando. Perché da noi non viene ancora usato? Immagino ci siano problemi tecnici, ma sarebbe interessante capirne di più.
L'occhio del meter TVM5 |
Dicono però i capi delle televisioni: se il risultato (ipotesi tutta da dimostrare) fosse che l’ascolto è più frammentato di quello che sembra (cioé che meno gente vede i canali generalisti e più gente si sparpaglia sul digitale, sul satellite e su internet) l’effetto potrebbe anche essere il crollo definitivo della produzione televisiva in Italia. Perché solo i grandi canali hanno i soldi (sempre meno) per produrre qualcosa che non sia un corso di ripittura della casa o il viaggio in moto al Grand Canyon. Checché ne pensate, in Italia non si spendono tanti soldi in pubblicità. Non siamo tra i primi 30 paesi del mondo come spesa pro capite per la comunicazione d’impresa. E ovviamente gli investimenti sono vistosamente calati nel 2011 (il 2012 è una totale incognita). Se ci togliete altri soldi, dicono le grandi televisioni, ripiegheremo sempre di più sugli acquisti di roba straniera. E' proprio così? Comunque, in che bella situazione ci siamo cacciati.
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