mercoledì 28 dicembre 2011

Viaggio illuminante nella Silicon Valley cinese

Techcrunch, il super-blog americano di tecnologia e informatica (12 milioni di visitatori unici al mese) ha appena pubblicato un reportage illuminante di un suo collaboratore, Kai Lukoff, che ha sede a Pechino ed è a sua volta co-fondatore del blog TechRice. Kai descrive meglio di chiunque altro la realtà cinese delle start-up tecnologiche e del software e ci fa capire perché i suoi protagonisti sono duramente motivati e perché la Cina attira creatività, finanziamenti e multinazionali, fino a far paventare un prossimo gap tecnologico a sfavore degli Stati Uniti (non parliamo dell'Europa).  Oggi vi propongo la prima parte, tradotta in italiano. Se volete potete leggere l'originale qui. Grazie a Techcrunch, naturalmente.


La zona di Zhongguancun a Pechino



Vent'anni fa Zhongguancun non era altro che una teoria di campi e piccole case, lontano dal centro della città di Pechino. Il 'cun' alla fine di Zhongguancun letteralmente significa "villaggio". Come per molte altre cose in Cina, il cambiamento è stato fulmineo.
Oggi, Zhongguancun è l’equivalente cinese della Silicon Valley. Ospita super-centri commerciali di elettronica, centri di ricerca, giganti tecnologici quotati in borsa e centinaia di start-up. Durante la mia passeggiata tra torri di uffici di venti piani, è difficile immaginare che questa fosse tutta campagna coltivata, solo una generazione fa.
Ecco le le tre ragioni per cui Zhongguancun (o il più grande distretto di Haidian) si è trasformato nel centro a più alto contenuto tecnologico della Cina:

1) Hub accademico
Qui accanto ci sono le due università top della Cina, l’Università di Pechino e la Tsinghua University. Ma il nord-ovest di Pechino è anche sede di numerose altre università, comprese le università tecniche come USTB, BIT, BUPT e Beihang. E’ quel  pool di “talenti grezzi” che fa paventare a industriali e politici americani un nuovo "gap tecnologico".
A Zhongguancun lavorano più di 500mila  tecnici

Il passaggio da borgo agricolo a hub tecnologico è iniziato con la ricerca. Oltre alle università, il finanziamento è venuto dall'Accademia Cinese delle Scienze e in seguito da società multinazionali. Come osserva Daniel Shi su Quora "a Pechino c'è un numero incredibile di multinazionali con i loro centri Ricerca&Sviluppo: Nokia, Ericsson, Motorola, Sony Ericsson, Microsoft, IBM, Sun, Oracle, BEA, Alcatel Lucent, Google. Da nessuna parte negli Stati Uniti hai una tale concentrazione enorme di organizzazioni R&S in una sola città ".

All’inizio Zhongguancun era un piccolo mercato per vendere elettronica a studenti e accademici. Jack Xu, fondatore del lite-blog Diandian descrive un incontro fortuito in questa scena:

    “Nel 1997, il Parco tecnologico di Zhongguancun era un piccolo villaggio. Aveva solo due edifici, e un assortimento di imprenditori che promuovevano le proprie capacità di programmazione, ottenendo contratti governativi, e assumendo studenti come me per fare il lavoro. A volte si potevano ottenere 100.000 Renminbi (12.000 Euro) per un contratto, ma a noi venivano 5000 Renminbi (600 Euro), il 95% se lo tenevano loro. Allora guadagnavo solo 2000 RMB (240 Euro) al mese, 1000 li tenevo per me e 1000 li davo ai miei genitori, così non dovevano più lavorare nei campi. Per me era una priorità mantenermi da solo prima possibile. E’ stato anche grazie al mio lavoro a Zhongguancun che sono diventato un noto programmatore, inizialmente in una piccola cerchia; e poi è arrivata una vera opportunità.”

La vera occasione è stato l'incontro di Jack con Joseph Xu Chen, nel 1998. Oggi, Chen è il CEO del social network Renren, dove Xu ha lavorato per cinque anni, anche come vice presidente della divisione Interactive.

2) Governo e Media
Il portale di Sina Weibo, l'anti-twitter cinese

In America, un imprenditore alla parola "governo" scappa nella direzione opposta. In Cina il governo lo si tiene stretto, per scelta o per necessità. Internet è una delle industrie più “private” in Cina, uno dei pochi ambiti senza grandi imprese statali, ma il governo gioca ancora un ruolo chiave.

Nella fase iniziale ci possono essere contratti governativi, uffici sovvenzionati all’interno di un parco tecnologico, o il finanziamento da un istituto di ricerca affiliato al governo. Il governo vuole far diventare Pechino la capitale vetrina sotto tutti gli aspetti, quindi si ottengono finanziamenti extra anche per la tecnologia.

Una volta che una start-up raggiunge una dimensione interessante, le connessioni con il governo sono la chiave per ogni cosa,  dal pagamento delle licenze al “content management”. Quando il vostro sito web viene bloccato perché è stata rilevata la presenza di contenuti politici sensibili o di materiale considerato pornografico, chi chiamerete?

Praticamente tutte le attività in Cina sono considerate di "interesse strategico nazionale", ma alcune lo sono ancora di più. Tutte le imprese dei media o anche i siti con contenuti generati dagli utenti devono avere una forte presenza, se non il loro Quartier Generale, a Pechino.

3) Un "circolo virtuoso"

Un hub tecnologico può dare un impulso a un circolo virtuoso. Fondatori di start-up escono dai centri di ricerca e le grandi aziende tecnologiche, attingendo la loro rete, finanziano e fanno crescere i talenti tra i dipendenti. Quando il boss se ne va per lanciare la sua attività in proprio, è normale che metà  della sua divisione- la metà più  talentuosa- lo segua. Le reti dei dipendenti dei colossi tecnologici con base a Pechino, come Baidu, Sohu e Sina stanno diventando versioni cinesi della "mafia PayPal".

In "Perché l’Hub della start-up funziona," Paul Graham di Y-Combinator scrive: "Penso che ci siano due componenti: essere in un luogo dove le start-up sono la cosa cool da fare, e la possibilità di incontri casuali con persone che ti possono aiutare. E ciò che spinge entrambi è il numero di persone delle start-up intorno a te.” Come nella Silicon Valley, a Zhongguancun c’è  una massa critica di persone che sono abbastanza pazze da mettere su una start-up.

Nel prossimo post: Oltre Pechino, la seconda parte del reportage di TechCrunch.

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