venerdì 23 dicembre 2011

Rai, scioperi, Monti & Passera

Il set di "Parla con me" negli stabilimenti "Studios" sulla Tiburtina, Roma
A differenza di qualche commentatore che si basa sui luoghi comuni ho grande rispetto per la gente che lavora dentro la Rai. E anche delle ragioni dello sciopero di ieri. E quindi, poiché si ricomincia a parlare
a) di privatizzazione della Rai (ricorrente mantra in cui i primi a non crederci sono quelli che lo intonano);
b) di riforma della governance (in soldoni, nominare un amministratore delegato, una specie di supercommissario);
oltre a chiedere ai supertecnici di fare qualcosa perché un’azienda pubblica sul mercato non sia più considerata come un “ente pubblico” (vi immaginate i comici assunti per concorso? O magari nominati ope legis?) e le siano restituiti  almeno i soldi del canone, mi permetto un modesto consiglio ai nostri governanti. Un consiglio che nessuno darà loro, per varie e comprensibili ragioni.
Siccome le chiacchiere sulla Rai sono una specie di sport nazionale vorrei essere il più chiaro possibile (e userò il maiuscolo, che detesto): CHIEDETE LA CONTABILITA’ INDUSTRIALE.
CHIEDETE LA CONTABILITA’ INDUSTRIALE. Non vorrei sembrare come Jack Nicholson in Shining.  Cerco solo di spiegare perché questo discorso è importante.
"Il mattino ha l'oro in bocca" nella versione originale

Quando la Rai decide di fare un programma, che chiameremo programma X, lavora spesso su un’idea (format?) proposta da qualche autore o da una società esterna. Lasciamo perdere tutta la discussione sui format ecc., noiosissima per i non addetti ai lavori. Andiamo al sodo.
Kubrick gira "Shining" con Nicholson
Il programma X è meglio farlo in casa o farlo fare da una società esterna? "Facciamolo in casa che risparmiamo". D'accordo: a patto di esserne sicuri. Quando la Rai calcola il costo di un programma, attribuisce i costi a due diverse filiere: i costi “sopra la linea” sono a carico della Rete (RaiUno, RaiDue, RaiTre ecc.). Si tratta di conduttori, autori, regista, eventuali ospiti, ballerini, attori ecc. I costi “sotto la linea” (studi, troupe, scenografie, trucco, parrucco, montaggi, grafica ecc.) invece vanno in un "calderone" generale gestito dai centri di produzione. Facciamo conto che un programma costi 100mila euro. Più o meno 50mila saranno costi sopra la linea e 50mila sotto la linea. A RaiUno, o RaiDue, o RaiTre (Rai4 e Rai5 questi soldi se li sognano) il programma costa 50mila euro, nel senso che solo i costi "sopra la linea" vengono caricati sul budget di rete.  Alla Rai nel suo complesso costa 100mila. 
Mettiamo che arrivi una società esterna e dica: “Ehi, io lo stesso programma ve lo porto, fatto e finito, a 70mila euro. Con gli ingredienti editoriali e la supervisione editoriale che volete voi. Già infiocchettato. Chiavi in mano”. Fantastico, direte voi, la Rai ha risparmiato 30mila euro. No: alla Rete in questione, nel suo budget (più volte tagliato già solo quest’anno, vista la situazione generale) il programma da 70mila costerebbe 20mila euro in più.  Non conviene. Perché se è fatto all’esterno tutti i costi vanno caricati sul budget di Rete (e non vanno in quello che, per semplicità, definiremo il "calderone"). E’ chiaro?
La scultura di Francesco Messina (1966)
Obiezione ovvia: ma che c’entra, la Rai deve far lavorare la propria fabbrica, i propri studi, le proprie maestranze. Giustissimo. Sacrosanto. Ma se la Rai stessa, per realizzare quel programma, si rivolge a uno studio esterno, a sale di montaggio esterne, a ditte di scenografia esterne (l’esempio della Dandini è chiarissimo, il programma era realizzato in uno studio esterno), come la mettiamo? In pratica la Rai preferisce pagare una società esterna per fargli fare il “sopra la linea” (ma solo se è un format riconosciuto ecc. ecc.) e spesso un’altra società esterna per il “sotto la linea” o parte di esso. A cui aggiunge il proprio produttore, la propria struttura gestionale ecc. Quindi il varietà X avrà: un produttore esecutivo Rai, un produttore esecutivo della società esterna, un direttore di produzione Rai, un direttore di produzione della società esterna, un production manager della facility che fornisce gli studi, ecc. Ma non sarebbe più economico dire: cara Endemol, cara Magnolia, cara Vattelapesca, se tu mi fai il sopra e il sotto la linea e mi porti il prodotto finito che cifra mi fai? Mi fai risparmiare? Scommettiamo che costa tutto meno e il produttore esterno ci guadagna pure? (E diamo più stabilità all'occupazione, visto che la Rai non può assorbire da sola tutta la forza lavoro precaria che ha coinvolto in questi anni, non foss'altro per il peso di costi fissi che si porta dietro in bilancio).

Attenzione perché questo è un punto decisivo del discorso: poiché questo non avviene quasi mai, le società di produzione in Italia sono abituate a occuparsi solo del “sopra la linea”, con interminabili discussioni del tipo “l’orchestra la paga la Rai o la società esterna?”, “gli scalda-pubblico chi li contrattualizza?” ecc. Discussioni che in pratica portano via la metà del tempo (ad essere ottimisti) sia alla struttura Rai che al produttore esterno, lasciando alla cura del prodotto il tempo rubato a queste defatiganti trattative. Chi ci guadagna? Nessuno. In questo modo le società esterne non portano un loro specifico know-how, spesso sono poco più che intermediarie di manodopera, non diventano “botteghe” in grado di sviluppare un proprio stile, un'originalità, una scuola che le renda veramente competitive (magari l’unico plus è di avere i diritti di una video-cassetta olandese); e d’altra parte la fabbrica Rai si umilia a un ruolo di arcigno controller, senza poter sviluppare professionalità, creatività, know-how interni (che ci sono! Dentro la Rai c’è un sacco di gente molto brava!). Ma così, al posto di un win-win abbiamo un lose-lose.
Il set di "Question Time", prodotto dalla Mentorn per la BBC

Ma all’estero scusate come fanno? Fanno in un altro modo. La BBC ad esempio mette in competizione, su un’esigenza di palinsesto, strutture interne ed esterne. Costringendo così la struttura interna a “stare sul mercato” (sia dal punto di vista dei costi che dal punto di vista dell’innovazione sia stilistica che tecnologica) e le società esterne a produrre originalità e creatività a basso costo. E poi decide. (Per cui dalla fabbrica interna escono anche gioiellini venduti in tutto il mondo, mentre non si considera così strano che Question Time, una specie di Tribuna politica di grande ascolto, sia prodotto interamente dalla Mentorn, una società esterna). Così fa un buon editore. E d’altronde, così fa la stessa Rai con le fiction. Altrimenti il secondo mantra, quello caro ai sindacati interni (“basta con le società esterne”) diventa solo un alibi per non ammettere l’assenza di un’idea strategica su cosa dovrà essere, in un futuro non troppo lontano, il servizio pubblico.

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