A Mediaset puntano a chiudere l'anno di Publitalia con un
meno a una cifra sola (8-9%), e gli andrebbe di lusso. La Rai farà fatica ad arrivare a tanto, nonostante gli Europei. Sky continua a ricevere
disdette sugli abbonamenti. Premium è collocata troppo bassa sul mercato, tra
quelli che non spendono più. Telecom sta cercando disperatamente di vendere la
7. MTV è in una situazione difficile. In questo contesto, discettare sui dati
d'ascolto di questo o quel programma è un po' ridicolo. A parte produzioni
chiave che fanno brand, e i cui ascolti in qualche modo "si pesano",
gli ascolti che "si contano" non spostano più di tanto gli
investimenti pubblicitari. La crisi è quasi al suo massimo storico, e non
sappiamo cosa cambierà di strutturale quando questa tragedia sarà in qualche
modo conclusa. Ma certamente qualcosa cambierà.
E' chiaro che prima o poi anche su un pubblico
demograficamente vecchio come quello italiano l'over the top, insomma i
programmi che si possono/potranno vedere via internet, sul pc, sui tablet e ora
anche sui televisori, sfonderanno. Più tardi che da altre parti, certamente. Ma
ce la faranno. Questo non significa che la gente smetterà di vedere la tv di
flusso (magari utilizzando diversi strumenti per vederla, anche in contemporanea
con l'emissione: tablet, ecc. ecc.). Ma significa che le risorse messe a
disposizione dalla pubblicità per la tv di flusso non cresceranno quanto i
costi. Punto. E siccome i tagli sulla carne viva dei contenuti tv non possono
durare all’infinito, pena l’asfissia dell’offerta, il problema è serio.
Una smart tv di Samsung. |
Per capirci: la tv generalista negli ultimi due decenni ha
rinnovato l’offerta agendo su tre comparti: 1) le reti cadette, RaiDue e
Italia1, che oggi soffrono per i tagli dei budget e anche per problemi più complessi
che non è il caso di analizzare ora;
2) i programmi di seconda serata, terreno privilegiato della
sperimentazione di nuovi formati e talenti, che rischiano un duro
ridimensionamento sotto la mannaia dei tagli;
3) e ultimamente i canali tematici digitali, su cui però gli ultimi
tagli sono stati pesantissimi, tali da metterli virtualmente nell’impossibilità
di produrre in modo consistente.
E’ chiaro che non si può chiedere a RaiUno e a Canale 5 di
fare esperimenti estemporanei in questo momento, quindi tutto il sistema
rischia di imballarsi. E di rendersi periferico nei riguardi del pubblico
disposto (magari domani) a spendere.
Ma perché dico che ci può essere un problema oltre i confini
temporali (purtroppo lunghi) di questa colossale crisi economica? Non solo
perché le agenzie si rivolgeranno sempre di più al web. L'efficacia
dell'advertising sul web non è finora entusiasmante. Sul web conta la
reputazione complessiva, i forum, i blog, i social network, il virale, il tam
tam insomma. Non basta un clic per vendere, anche se è un clic mirato. Ma è il volano complessivo dell’advertising che non ha più una mission chiara in questo nuovo contesto.
E allora? E allora bisogna, umilmente, gradualmente ma
decisamente ragionare di un sistema diverso e di un diverso modello di
business. Che si affianca a quello
tradizionale legato alla pubblicità ma che conterà sempre di più. E' il modello
in cui il consumatore si riappropria della decisione di spesa. Con i
micropagamenti. Pagando non genericamente ma precisamente singoli prodotti che vuol
vedere in quel momento. E' un discorso che in un modo o nell'altro vale per
tutti gli attori del sistema dei media. Lo so, è un altro mondo. E' non è detto
che sia una passeggiata.
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