lunedì 14 maggio 2012

Altro che Auditel, qua non ci sono i soldi



A Mediaset puntano a chiudere l'anno di Publitalia con un meno a una cifra sola (8-9%), e gli andrebbe di lusso. La Rai farà fatica ad arrivare a tanto, nonostante gli Europei. Sky continua a ricevere disdette sugli abbonamenti. Premium è collocata troppo bassa sul mercato, tra quelli che non spendono più. Telecom sta cercando disperatamente di vendere la 7. MTV è in una situazione difficile. In questo contesto, discettare sui dati d'ascolto di questo o quel programma è un po' ridicolo. A parte produzioni chiave che fanno brand, e i cui ascolti in qualche modo "si pesano", gli ascolti che "si contano" non spostano più di tanto gli investimenti pubblicitari. La crisi è quasi al suo massimo storico, e non sappiamo cosa cambierà di strutturale quando questa tragedia sarà in qualche modo conclusa. Ma certamente qualcosa cambierà.
E' chiaro che prima o poi anche su un pubblico demograficamente vecchio come quello italiano l'over the top, insomma i programmi che si possono/potranno vedere via internet, sul pc, sui tablet e ora anche sui televisori, sfonderanno. Più tardi che da altre parti, certamente. Ma ce la faranno. Questo non significa che la gente smetterà di vedere la tv di flusso (magari utilizzando diversi strumenti per vederla, anche in contemporanea con l'emissione: tablet, ecc. ecc.). Ma significa che le risorse messe a disposizione dalla pubblicità per la tv di flusso non cresceranno quanto i costi. Punto. E siccome i tagli sulla carne viva dei contenuti tv non possono durare all’infinito, pena l’asfissia dell’offerta, il problema è serio.
Una smart tv di Samsung.

Per capirci: la tv generalista negli ultimi due decenni ha rinnovato l’offerta agendo su tre comparti: 1) le reti cadette, RaiDue e Italia1, che oggi soffrono per i tagli dei budget e anche per problemi più complessi che non è il caso di analizzare ora;
2) i programmi di seconda serata, terreno privilegiato della sperimentazione di nuovi formati e talenti, che rischiano un duro ridimensionamento sotto la mannaia dei tagli;
3) e ultimamente i canali tematici digitali, su cui però gli ultimi tagli sono stati pesantissimi, tali da metterli virtualmente nell’impossibilità di produrre in modo consistente.
E’ chiaro che non si può chiedere a RaiUno e a Canale 5 di fare esperimenti estemporanei in questo momento, quindi tutto il sistema rischia di imballarsi. E di rendersi periferico nei riguardi del pubblico disposto (magari domani) a spendere.
Ma perché dico che ci può essere un problema oltre i confini temporali (purtroppo lunghi) di questa colossale crisi economica? Non solo perché le agenzie si rivolgeranno sempre di più al web. L'efficacia dell'advertising sul web non è finora entusiasmante. Sul web conta la reputazione complessiva, i forum, i blog, i social network, il virale, il tam tam insomma. Non basta un clic per vendere, anche se è un clic mirato. Ma è il volano complessivo dell’advertising che non ha più una mission chiara in questo nuovo contesto.
E allora? E allora bisogna, umilmente, gradualmente ma decisamente ragionare di un sistema diverso e di un diverso modello di business. Che si affianca a quello tradizionale legato alla pubblicità ma che conterà sempre di più. E' il modello in cui il consumatore si riappropria della decisione di spesa. Con i micropagamenti. Pagando non genericamente ma precisamente singoli prodotti che vuol vedere in quel momento. E' un discorso che in un modo o nell'altro vale per tutti gli attori del sistema dei media. Lo so, è un altro mondo. E' non è detto che sia una passeggiata.

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