domenica 27 maggio 2012

La tv nella tempesta: perché la Rai non ne discute?

L'Olandese volante.

Chi, per ragioni anagrafiche, ha letto per vent'anni gli studi e le ricerche pubblicati dalla Rai in volumetti editi sotto l'imperscrutabile acronimo VQPT (che stava in realtà per "Verifica Qualitativa Programmi Trasmessi") non può non rimanere colpito dal fatto che oggi, mentre crisi, digitale e internet scuotono dalle fondamenta il sistema televisivo, non ci sia un adeguato luogo di riflessione sul futuro promosso dalla tv pubblica.
Mentre invece Link, il trimestrale pubblicato dal marketing Mediaset, una rivista con indubbia libertà di espressione (ci scrivono periodicamente molti studiosi, compresi Grasso e Freccero, ma anche molti giovani ricercatori) dimostra se non altro la presenza di uno spazio critico e di una certa consapevolezza del momento dentro le mura della tv commerciale. Questo mese è uscito il numero 11 di Link, dedicato proprio alla crisi (con un titolo significativo, La tempesta).
 Segnalo l'intervento di Carlo Alberto Carnevale Maffé, Sapersi adattare. Che ad onta del titolo sbarazzino è in realtà un ambizioso tentativo di sistematizzazione della crisi attuale. Per molti aspetti stimolante. Le questioni poste da Carnevale Maffé non sono di poco momento e i vettori indicati non sono banali. Vorrei tornarci su in questi giorni, anche perché, se portate alle estreme conseguenze, le sue considerazioni porterebbero a una vistosa riconversione del modello di business della tv privata, nel post-crisi dominato dai giganti di Internet. Per ora però mi limito a dire: ma è possibile che in questa situazione da Viale Mazzini non parta una riflessione di uguale gittata, che vada oltre l'immediato, per domandarsi cosa sarà la tv pubblica italiana dopo i tagli, i ritagli e le frattaglie? Così, tanto per dire, da uno che comunque vuol bene a quel pezzo importante della nostra cultura che è stata la Radiotelevisione italiana.

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