Una scena di Hunger Games. |
Il cinema riscopre i reality show, in America come in Italia. Sull'argomento riposto qui, nell'ottica del riciclo virtuoso, il mio commento che il Venerdì di Repubblica ha pubblicato ieri.
Se dovessimo
fare un paragone con cose più serie, tra l’individuazione della “fine della
spinta propulsiva” e l’effettivo The End
di un'idea possono passare vari anni. Per cui i reality, nati 14 anni fa in
Olanda con Grande Fratello, potranno
andare avanti ancora per molto tempo e magari, complice qualche congiunzione
astrale o una favorevole combinazione dei palinsesti, strappare ancora dei
successi. In Inghilterra Channel 4 ha rinunciato da due anni a Big Brother, che è stato acquisito dal
meno prestigioso Channel 5; Big Brother Africa è però molto popolare, e
nelle Filippine va perfino in onda un'edizione composta da concorrenti
minorenni. Ma quel vento che squassò la televisione mondiale, uscito dalla
testa di John De Mol, si è trasformato in bonaccia. Reggono gli Celebrity,
cioé i reality i cui protagonisti sono personaggi dello spettacolo o comunque
del “circo mediatico” (tanto per citare). E’ il caso, in Italia, dell’Isola dei famosi. Tutte vecchie
conoscenze, una compagnia di giro che Luxuria ha trasformato con abilità in un
programma family finto-trash, un genere per signore rassicurante e prevedibile.
Il resto è talent, talent e talent.
Daria Bignardi (a destra) e Marina La Rosa nella prima edizione di Grande Fratello. |
Era nato con
ben altre ambizioni, Grande Fratello. Che in Italia, con diabolica
sagacia, il duo Gori/Bassetti riuscì a trasformare in un’operazione
neo-generalista, mettendo assieme pubblici diversi anche grazie alla scelta di
una conduttrice borderline (la Bignardi) e perfino di un press agent
ai tempi ancora in odore di Botteghe Oscure, Fabrizio Rondolino.
Grande Fratello innovava la tv? Certo
che la innovava. Grande Fratello era vero o era finto? Non era finto, non era
vero. Era verosimile. Raccontava pulsioni realmente esistenti ma all'epoca
ignote a un pezzo di questo Paese, consentiva loro di rispecchiarsi e di riprodursi.
Al tempo stesso le “rileggeva” e ne fungeva da moltiplicatore.
Il cast di Reality, di Matteo Garrone, che verrà presentato a Cannes. |
Il
meccanismo del reality assomiglia a quello degli esperimenti sugli animali: non
ordini al guinea pig di entrare nella
gabbietta, sai che se c’è la carota lui ci andrà. Se metti la carota nel
momento giusto tutto funziona. E’ un gioco che il pubblico d’elezione, quello
che è cresciuto guardando “il GF”, ha però imparato meglio di noi. Agli occhi
degli spettatori fedeli non sfugge più nulla, come ai pokeristi esperti. Non
c’è mossa degli autori che non passi al vaglio degli occhiuti aficionados
dei reality, basta avere la pazienza di leggere i loro forum. E quindi il
meccanismo negli anni diventa scontato.
Oggi il
cinema (ri)scopre il reality tv proprio quando quest’ultimo è nella sua fase
del crepuscolo. Ma è il destino del rapporto tra cinema e televisione. La tv,
quando si occupa di cinema, lo fa col sussiegoso imbarazzo della fantesca
arricchita quando incontra il suo vecchio padrone. E il cinema tratta la tv con
l’impeto moralista del vecchio possidente quando incontra la neo-ricca. Non c’è
dialogo, e non ci sarà. Naturalmente, quand’è che il nobile decaduto viene a
sapere delle vicissitudini della sua ex fantesca? Sempre per ultimo.
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