giovedì 12 gennaio 2012

Il tredicesimo apostolo e la tv del secolo scorso

Claudio Gioé e Claudia Pandolfi, Il Tredicesimo apostolo
Scrivo questo post “a urne aperte”, senza aspettare il responso dell’Auditel alla seconda puntata del Tredicesimo apostolo, la fiction di Taodue che è andata benissimo con il primo episodio e immagino andrà  bene anche con il secondo. [UPDATE delle 10.05: Chi l'ha visto le ha dato un po' fastidio, ma comunque ha vinto la serata]. Com’è noto questo non è un blog di critica televisiva (chi fa tv faccia tv e chi fa il critico faccia il critico). Mi interessa invece cogliere un mood.
Secondo me è stata un'intelligente intuizione recuperare un genere che nella storia della tv italiana ha avuto pochi precedenti ma tutti di successo. Non mi riferisco ai romanzi di Dan Brown né a Fringe, a cui il pubblico più giovane potrebbe aver associato Il tredicesimo apostolo (Fringe però è, come dire?, linguisticamente più complesso). Ma al Segno del comando.

Carla Gravina e la Roma misteriosa (1971)
Il segno del comando fu uno shock per il pubblico televisivo del secolo scorso. E’ una fiction (ai tempi si diceva un originale televisivo) di quarant’anni fa. Andò in onda a maggio e giugno del 1971. Ebbe una lunga gestazione, con litigi, dimissioni e ritiri di sceneggiatori, cambi di finale, discussioni interminabili e fu prodotto con scetticismo dalla dirigenza Rai.  Fu uno straordinario successo (quasi 15 milioni di telespettatori, cifre da capogiro possibili ai tempi del monopolio). Ma fu anche un caso di scuola: si evidenziò che il pubblico italiano ha una particolare sensibilità alle storie che riescono a trattare in modo efficace l’occulto con temperature accettabili dalla nostra  tradizione culturale, fondamentalmente cattolica. (Poi arrivò Ritratto di donna velata, diretto da Flaminio Bollini nel 1974, dove Daria Nicolodi era la reincarnazione della donna velata ritratta in una quadro del Settecento. Grandissimo successo anche in quel caso).
Il pubblico televisivo italiano veniva da un precedente shock culturale, la miniserie francese Belfagor (Belphégor ou Le fantôme du Louvre, 1965), andata in onda in Italia nel 1966, che aveva alimentato i friccichi di paura di un Paese che scopriva contemporaneamente la tv, la lavatrice, il frigorifero e l’insolito.
Il segno del comando, oltre alla recitazione dall’occhio umido di Ugo Pagliai e alla fantastica fissità di Carla Gravina (che poi fu eletta Deputato al parlamento per il Partito comunista) aveva dalla sua una dotta scrittura teatrale e la capacità di inventare una Roma settecentesca-londinese dove tutto ti aspetti tranne sentirti dire aho’. Flaminio Bollini e Dante Guardamagna, e poi Lucio Mandarà e Giuseppe D’Agata scrissero e riscrissero, si sfancularono, e alla fine lasciarono solo D’Agata a finire la sceneggiatura. La regia viene affidata a Daniele D’Anza che mescolò creativamente i set esterni di Roma, usando molto i portici dello stabile di via Margutta dove tuttora abitano intellettuali e noti scenografi romani. Gli interni vennero girati alla Rai di Napoli, che era un centro d’eccellenza per gli “sceneggiati”. Grande artigianato che si è perso per strada. Tanto che ora, per raccontare una storia de paura ambientata a Roma servono un regista inglese e un direttore della fotografia americano, celebre per la fortunata serie Erotic Confessions (1994).

3 commenti:

  1. Ti sei dimenticato i compagni di Baal. O ricordo male? Tu dici che questa sia una tendenza persistente alla quale poter attingere?

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    1. Potrebbe. Anche se ho visto anche fare buchi nell'acqua trattando questo genere, Ovviamente bisogna toccare le corde giuste.

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  2. ricordo anche "I giovedì della signora Giulia", forse più poliziesco ma intriso di mistero non poco. Altri tempi, altra cosa rispetto alla tv "sciaquetta" dei giorni nostri.
    Complimenti per l'articolo, mi è piaciuto molto.

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